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Lo scopo di questo blog è far conoscere al pubblico, ai pazienti ed ai colleghi interessati, l’attività della Rianimazione dell'ospedale San Leonardo di Castellammare di Stabia, ASL NA 3 SUD; offrendo loro la possibilità di conoscere risorse infermieristiche ed esperienze facili ed utili da fruire.
LINEE GUIDA COMUNICAZIONE IN AMBITO SANITARIO
COMUNICARE LE CATTIVE NOTIZIE

Per più di due millenni ai pazienti è stato chiesto di avere fiducia dei loro medici e di seguire le indicazioni da essi impartite. Tale situazione è profondamente cambiata nel corso degli ultimi trent'anni. Sia all'interno della società civile che della medicina si sono generati movimenti che hanno messo in discussione il concetto di autorità e sottolineato l'importanza dell'autonomia e dell'autodeterminazione. La medicina è divenuta più complessa; la partecipazione e la capacità di comprensione del paziente parallelamente sono divenuti maggiormente importanti e spesso determinanti. Sebbene ciò non sia un fenomeno universale, siamo in presenza di una comunità più istruita e certamente più sofisticata dal punto di vista sanitario.
CHE COS'È UNA CATTIVA NOTIZIA?
Una cattiva notizia, ai fini della nostra discussione, consiste in quell'insieme di informazioni riguardanti condizioni sanitarie gravi, tipicamente associate con una significativa riduzione delle funzioni di un individuo. Si tratta di condizioni fortemente debilitanti e talora terminali. Il concetto di "cattiva notizia" dovrebbe essere inteso, non solo dal punto di vista strettamente medico, ma anche alla luce della percezione che il paziente ha circa l'impatto che la malattia potrebbe avere sulla sua vita. Storicamente, la diagnosi di lebbra o la peste riempivano di terrore pazienti, famiglie e comunità intere. Il paziente veniva isolato o moriva rapidamente. La medicina, così come era allora, aveva poco da offrire. Al giorno d'oggi, quelle sofferenze sono state sostituite da malattie quali il cancro, la sclerosi multipla, l'AIDS e la sclerosi laterale amiotrofica. In queste condizioni cliniche sono presenti senso di impotenza così come sofferenze prolungate, debilitazione e dipendenza. Il rifiuto della società, anche oggi, è spesso parte dello scenario. Sia la medicina che la società, in maniera anche discutibile, hanno fatto proprio il concetto di "medicalizzazione" del soffrire e del morire, tentando di portare tutti gli aspetto della nostra vita, anche l'esperienza della morte e del morire, sotto il mantello della medicina e della scienza. La medicina, certamente, possiede qualcosa da offrire, sebbene possa a volte essere soltanto di aiuto a confortare il malato.
PERCHÈ DIRE LA VERITÀ?
Da una prospettiva morale, la protezione del valore della persona e del suo unico interesse costituisce fatto di massima importanza. L'imperativo morale secondo il quale si debba dire la verità è radicato nel rispetto dell'individuo, nella consapevolezza che egli è capace di stabilire i propri obiettivi. Ciascun individuo ha il dovere di essere responsabile della propria salute e possiede il diritto di essere coinvolto nel processo decisionale che lo riguarda. Gli obiettivi della comunicazione della verità comprendono la protezione dell'autonomia individuale e la promozione di un processo decisionale condiviso e razionale. In Europa, la capacità di discernimento del cosiddetto "medico ragionevole" ha sempre rappresentato la prospettiva dominante del processo decisionale; negli Stati Uniti ha prevalso il ruolo della "persona ragionevole", nel quale è l’individuo l'unico qualificato ha stabilire il proprio bene. Tuttavia, la relazione necessaria a realizzare pienamente la funzione dell'autodeterminazione, può esistere soltanto in presenza di un incontro collaborativo, non certo di un mero attribuire a ciascuno il proprio obbligo. Fin dai tempi anteriori allo sviluppo della medicina attuale, i medici sono stati nutriti attraverso la mistica del potere della scienza; di conseguenza incontriamo difficoltà non solo rispetto all'esperienza del fallimento e della morte, ma anche nei confronti della messa in discussione della nostra autorità e delle nostre decisioni. Sia la nostra società che la medicina vivono con grande difficoltà l'esperienza della morte. Viviamo in una cultura che nega la morte e che per indicarla ricorre ad eufemismi. Ogni possibile significato per la morte e per il soffrire viene rigettato. Di conseguenza si è sviluppato un imperativo culturale secondo il quale "se qualcosa può essere fatto deve essere fatto". La medicina tende a vedere la morte come un fallimento, tendendo perciò da un lato all'ipertrattamento e dall'altro all'abbandono del morente. Non è forse vero che a volte tendiamo ad affermare che "il paziente non ha risposta alla terapia" invece di dire "il trattamento non è stato efficace"? A volte apponiamo etichette sulle decisioni dei pazienti che diventano modi per colpevolizzare i malati invece che noi stessi. Una delle maggiori debolezze è rappresentata dal fatto che spesso non ci diamo abbastanza tempo per ascoltare il paziente e per riflettere su ciò che ci è stato detto. La capacità di affrontare il processo decisionale è grandemente variabile. Il livello di educazione, complessità ed esperienza dell'individuo rappresentano tutti fattori che possono influenzare la capacità di comprensione. Sebbene in medicina si affermi l'esistenza di un dovere morale e legale di fornire informazioni adeguate, per ottenere un consenso informato è richiesto molto di più. Un malato, per il solo fatto di essere affetto da una malattia è psicologicamente predisposto a compiacere il proprio medico curante. Un paziente è istintivamente dipendente da coloro che potrebbero farli stare meglio. Questo è particolarmente vero per quei pazienti che assumono su di se un insieme di comportamenti ed attitudini che identificano il cosiddetto "ruolo del malato". Ciò comporta anche cedere il controllo della cura del proprio corpo al medico La libertà di un paziente può essere compromessa da un ampio spettro di fattori. Tra questi vi sono il dolore, la sofferenza, l'isolamento, l'effetto dei farmaci e lo stato emozionale. Per i pazienti e loro famiglie è tutt'altro che raro sentirsi perduti e confusi nella complessità del sistema sanitario. Esistono diversi valori e priorità che devono essere considerati. Questi comprendono famiglia, comunità, costumi culturali, riti e tradizioni religiose. Bisognerebbe in primo luogo comprendere che i valori e le priorità del paziente potrebbero discostarsi significativamente dalle nostre. Sebbene si conosca un paziente da molti anni egli potrebbe essere cambiato o non essere in grado di rivelare i propri veri sentimenti. In alcune culture possono essere presenti obblighi morali dei quali il medico può non essere a conoscenza. L'incapacità nel mostrare attenzione a queste differenze può compromettere la comunicazione, la comprensione e da ultimo il processo decisionale. I medici sono "esperti" che possiedono maggiori conoscenze del paziente medio. Bisognerebbe essere dunque consapevoli del potere intrinseco del medico, di una relazione non paritaria e della vulnerabilità del paziente. Una assoluta integrità professionale ed umana è dunque fondamentale al fine di evitare un danno al paziente. La coercizione può essere sottile o palese ma bisogna essere consapevoli che la situazione clinica o le condizioni psicologiche possono favorire l'instaurarsi di un rapporto coercitivo. La relazione tra operatore sanitario e malato dovrebbe in primo luogo fondarsi sul rispetto della dignità e del valore della persona al fine di garantirne il bene. Il rispetto del diritto del paziente all'autodeterminazione dovrebbe essere centrale. Deve esistere una forte determinazione a costruire un rapporto basato su verità e fiducia. Ciò che è anche importante è chiarire gli obiettivi di tutte le parti in causa nel tentativo di costruire obiettivi comuni.
LA VERITÀ PUÒ DANNEGGIARE IL PAZIENTE?
Si tratta di una domanda estremamente semplice ma tuttora irrisolta. L'obiezione più comune al comunicare una cattiva notizia al paziente comprende affermazioni del tipo: "la verità non esiste, i pazienti non vogliono sentire cattive notizie, le informazioni veritiere danneggiano i pazienti". A cominciare da Ippocrate, la letteratura medica ha sempre sostenuto la menzogna, nella convinzione che le cattive notizie privino i pazienti della speranza. Nella mia esperienza, i pazienti possono tollerare e gestire le cattive notizie meglio di quanto non possano fare con le bugie. Esistono tuttavia rare giustificazioni per la non comunicazione della cattive notizie. Se un paziente ha chiaramente indicato che il proprio desiderio è di non sapere è ovviamente inappropriato insistere. Un paziente possiede un uguale diritto a conoscere e a non conoscere. La letteratura indica che tale situazione è rara: occorre dunque essere certi che tale posizione non origini da una paura incontrollata. Una seconda giustificazione è rappresentata dalla convinzione che il disvelamento della verità produca un danno certo al paziente. Tuttavia, nella maggior parte dei casi e nel lungo periodo, sia dal punto di vista medico che della persona, è preferibile che il paziente sia informato circa la natura della sua malattia e la prognosi. Ciò permette al paziente di partecipare al trattamento in modo consapevole ed attuare le proprie scelte di vita. Un altro razionale per nascondere la verità è costituito dalla condizione in cui il paziente non è in grado di comprendere le informazioni offertegli. C'è tuttavia il pericolo di considerare inappropriatamente un paziente incapace di comprendere. Lo storico francese Philip Aries, racconta della "morte domestica" dei tempi passati, una morte tollerabile e familiare, rafforzativa del legami comunitari e radicata nella solidarietà sociale, aspettata con certezza e accettata senza incontrollabili paure. Egli pone in contrasto questa morte domestica con la "morte selvaggia" della medicina tecnologica contemporanea. Tuttavia non ci può essere una fuga verso un passato nostalgico; questa non appare una risposta praticabile. La sfida è quella di riconsiderare gli indirizzi attuali della medicina e di esplorare il significato della sofferenza e della morte, il ruolo della medicina e le possibili alternativi a ciò che oggi facciamo. Nel contesto della relazione medico-paziente, lo sforzo ad instaurare una buona comunicazione ed una comprensione reciproca costituisce un elemento utile alla realizzazione di un migliore modello relazionale. Ciò ovviamente presume integrità morale del medico, capacità di ascolto e riconoscimento del diritto del paziente di stabilire le proprie priorità.
VERITÀ E FIDUCIA
La questione della verità, sia da parte del paziente che dell'operatore sanitario, riveste posizione centrale sia nella comprensione della malattia che nel successivo trattamento. Una relazione fiduciaria è assolutamente necessaria al fine di ottenere una interazione fruttuosa, una cooperazione e la promozione di un processo decisionale razionale e partecipato. Da ultimo ciò è fondamentale al fine di perseguire il bene del paziente. L'esempio che segue sottolinea i problemi connessi al nascondimento della verità e l'importanza di una relazione costruita sulla verità e la fiducia, anche quando il paziente sia un bambino. Sebbene in teoria si possa ammettere che il diritto dei bambini, e di rado anche degli adulti, ad ottenere informazioni sia sottoposto a limiti, in pratica la menzogna produce problemi anche maggiori. Responsabilità etiche conflittuali possono produrre dilemmi virtualmente impossibili da risolvere. Tale scenario sottolinea la necessità di trovare soluzioni fondate sulla comunicazione e su un approccio al paziente condiviso dal gruppo di operatori sanitari coinvolti. Susi Wooster era una bambina i 10 anni affetta da cancro in fase terminale. Era la più vecchia di quattro figli. Susi aveva già trascorso più di tre settimane in oncologia, quando il Dr. Moore disse ai suoi genitori che riteneva che Susi non sarebbe sopravvissuta più di un mese. Egli inoltre suggerì che Susi restasse ricoverata, in modo tale da permettere la somministrazioni di terapie parenterali e al fine di renderle la vita più confortevole. Questo avrebbe anche evitato ulteriore stress alla famiglia. Dopo dolorose discussioni, la famiglia accettò di tenere Susi in ospedale, ma chiese che le venisse nascosta la gravità della situazione. Il Dr. Moore impartì chiare indicazioni, sia scritte che verbali, relative alla necessità di tenere Susi all'oscuro delle sue condizioni cliniche. Uno dei fattori che convinse il Dr. Moore ad accettare le richieste dei parenti era costituito dalla convinzione che sarebbe stato estremamente difficile per essi accudire Susi a casa. La famiglia aveva una casa piccola e limitate risorse economiche. Egli avvertiva sinceramente il peso che gravava sulla famiglia e, conoscendoli da molti anni, era persuaso che il ricovero in ospedale avrebbe garantito una migliore assistenza. Tre settimane più tardi Susi divenne molto debole, provava dolore e sentiva nausee dovute alle terapie. In questa fase divenne amica di un infermiera di nome Joan. Passarono molto tempo insieme e Joan cercava di arrivare prima al lavoro per parlare con Susi o leggerle un libro. Una notte Susi non riusciva a dormire, Joan provò a leggerle un libro ma Susi scoppiò a piangere. Joan smise di leggere e la prese in braccio. Susi disse: "Joan, lo so che di te mi posso fidare, pensi che morirò?" Joan non rispose in modo diretto ma il senso affermativo della risposta fu chiaramente inteso da Susi. Il mattino successivo Joan raccontò l'accaduto al Dr. Moore. Sapeva di rischiare il posto. Susi chiese di rimanere con Joan fino alla fine e da quel giorno rifiutò le attenzioni della propria famiglia. Ciò che è particolarmente lacerante è la separazione tra questa bambina e la sua famiglia in un momento così difficile. Molti studi indicano come i bambini siano in grado di accettare una malattia fatale molta più di quanto non facciano le loro famiglie. Questa bambina aveva vissuto a contatto con altri bambini malati, bambini che erano morti nel corso della sua degenza. La realtà della sua situazione era già evidente per lei. Ciò mi ricorda di colleghi che, all'atto del ricovero di pazienti in unità coronarica, rispondevano alla domanda se la situazione fosse grave con la frase "non c'è problema". Come fosse possibile conciliare quella risposta con la ventilazione forzata, i cateteri, i defibrillatori, i monitors ed infermieri febbrilmente attivi è arduo da comprendere
COSA COMUNICARE, COME COMUNICARE
Il primo obiettivo del sistema sanitario si è sempre identificato con il bene del paziente. Una comunicazione seria e profonda radicata in solidi principi morali è ciò che è necessario, nel lungo periodo, per raggiungere tale obiettivo. Il trasferimento delle notizie al paziente richiede la comunicazione di dati più completa possibile. Ciò andrebbe attuato con discrezione e sensibilità verso lo stato psicologico del singolo individuo, i suoi valori e la sua capacità di comprensione. In quei casi in cui esiste una lunga frequentazione tra malato e operatore sanitario, è comune l'assunto che il paziente voglia evitare le cattive notizie. Tale assunto potrebbe essere del tutto errato. Valori e priorità di un individuo sono soggetti a continua evoluzione. Nella esperienza americana, lo svelamento delle cattive notizie costituisce pratica comune, ciononostante, specialmente in una fase iniziale, si tende ad utilizzare eufemismi e comunque l'insieme delle informazioni viene fornita in passaggi successivi. Jay Katz, medico e psicoanalista, nel saggio "Il mondo silenzioso di medici e pazienti" esplora il tema della conversazione e della comprensione. La sua formula per un processo decisionale efficace prevede quattro aspetti:
1. La prospettiva iniziale dovrebbe comprendere non solo un riconoscimento della libertà del paziente di decidere, ma anche un riflessione concernente quei fattori razionali ed irrazionali, propri sia del medico che del paziente, capaci di influenzare il processo decisionale.
2. Bisognerebbe riconoscere che il paziente è un adulto maturo, e non un bambino dipendente.
3. E' importante coltivare l'arte della conversazione in modo tale da facilitare la capacità di comprensione del paziente. Ciò comprende anche la capacità di esplorare i valori e le preferenze del paziente.
4. Medici ed altri operatori sanitari dovrebbero essere consapevoli dei limiti della medicina.
La medicina è spesso circondata da un aura di mistero. L'importanza essenziale di una buona comunicazione con il paziente come metodo per ottimizzare il trattamento, è tuttavia poco riconosciuta. L'attuale enfasi posta sugli aspetti tecnologici e scientifici della medicina finisce per ridurre lo spazio dedicato ad una comunicazione efficiente. Anche la tendenza crescente a trasferire il processo decisionale dal medico curante al medico consulente finisce per delegare ogni decisioni ad esperti che hanno breve o nessuna esperienza relazionale con il paziente. Ciò introduce nuovi problemi sia per i medici che per i malati. Oggi vi è la necessità di riconoscere le incertezze della medicina e la complessità della condizione umana. Una aumentata mobilità sociale, strutture comunitarie e familiari indebolite, barriere linguistiche e scale di valori differenti, sono fattori che rendono sempre più difficile identificare un approccio valido per tutti. Indubbiamente scaturisce un conflitto tra l'autodeterminazione ed un approccio paternalistico; la sfida è trovare un equilibrio appropriato. A breve termine, sarebbe almeno auspicabile sviluppare un atteggiamento dialogante. E' fin troppo facile rifugiarsi nella presunta incapacità del paziente di comprendere sviluppando di conseguenza un approccio fondato sulla "menzogna benevola".