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Lo scopo di questo blog è far conoscere al pubblico, ai pazienti ed ai colleghi interessati, l’attività della Rianimazione dell'ospedale San Leonardo di Castellammare di Stabia, ASL NA 3 SUD; offrendo loro la possibilità di conoscere risorse infermieristiche ed esperienze facili ed utili da fruire.
CONCORSO NAZIONALE PER LA RICERCA INFERMIERISTICA 8° EDIZIONE ANNO 2009
PREMIO “INFERMIERA GEMMA CASTORINA” COLLEGIO PROVINCIALE IPASVI GROSSETO



Rianimazione“long-term care”
Premessa
I sistemi sanitari dei paesi industrializzati sono uniformemente interessati da un processo di progressiva specializzazione dei servizi ospedalieri, verso un aumento della capacità di risposta ad emergenze cliniche, problemi acuti, interventi diagnostici e terapeutici ad alta complessità. Contestualmente si sta registrando un progressivo aumento delle problematiche legate alla disabilità ed a malattie croniche, che determinano una crescente domanda di servizi di assistenza a lungo termine ed a basso contenuto sanitario.
I due fenomeni possono essere considerati entrambi conseguenza dello sviluppo della scienza medica, che ci impone, quindi, di affrontare non solo il problema della specializzazione tecnologica dell’ospedale del futuro, ma anche quello di organizzare e gestire modelli di “long-term care”[2]. Il crescente bisogno di servizi assistenziali per cure a lungo termine è condizionato da quattro determinanti fondamentali:
1) L’invecchiamento generale della popolazione
2) Lo specifico aumento dell’aspettativa di vita media dei pazienti affetti da malattie croniche e disabilitanti
3) La riduzione della potenzialità di assistenza informale da parte dei nuclei familiari
4) La progressiva evoluzione del sistema ospedaliero verso l’assistenza agli acuti con livelli sempre più spinti di specializzazione e tecnologia.
L’insieme di questi fenomeni pone quindi con urgenza assoluta il problema della assistenza a lungo termine (domiciliare) di una ampia varietà di pazienti, con almeno tre diverse necessità:
Gestione a breve/medio termine di pazienti anziani, disabili, in fase di convalescenza post-acuta o post-chirurgica, o comunque con necessità di eseguire terapie programmate in un ambiente con assistenza infermieristica[2]. Lo sviluppo della domanda di servizi di assistenza a lungo termine si traduce in risposte strutturali che possono variare da un ambiente domiciliare adeguatamente attrezzato e seguito da equipe professionali di riferimento, fino a soluzioni di ricovero in padiglioni autonomi inseriti nel contesto di un complesso ospedaliero per acuti. In tre anni di attività del centro di rianimazione ove presto servizio sono stati domiciliati 50 pazienti e tra i pazienti domiciliati è stato osservato una concentrazione di pazienti affetti da SLA nella fascia di territorio di nostra competenza. Il paziente affetto da SLA perde progressivamente i motoneuroni centrali e periferici, con un decorso del tutto imprevedibile e differente da soggetto a soggetto, con esiti disastrosi per la qualità di vita oltre che per la sua sopravvivenza. Le conseguenze di questa malattia sono la perdita progressiva e irreversibile della normale capacità di deglutizione (disfagia), dell'articolazione della parola (disartria) e del controllo dei muscoli scheletrici, con una paralisi che può avere un'estensione variabile, fino alla compromissione dei muscoli respiratori, alla necessità di ventilazione assistita e quindi alla morte[1].
Ricerca
La sclerosi laterale amiotrofica, chiamata SLA, o anche morbo di Lou Gehrig, (dal nome del giocatore statunitense di baseball che fu la prima vittima accertata di questa patologia), malattia di Charcot o malattia dei motoneuroni, è una malattia degenerativa e progressiva del sistema nervoso che colpisce selettivamente i cosiddetti neuroni di moto (motoneuroni), sia centrali - 1° motoneurone a livello della corteccia cerebrale, sia periferici - 2° motoneurone, a livello del tronco encefalico e del midollo spinale. Fu descritta per la prima volta nel 1860 dal neurologo francese Jean-Martin Charcot, ed attualmente le sue cause sono ancora ignote. Attualmente le ipotesi più accreditate per spiegare la degenerazione neuronale sono due: un danno di tipo eccitotossico, dovuto ad un eccesso di Glutammato, e un danno di tipo ossidativo, dovuto ad uno squilibrio tra sostanze ossidanti e sostanze riducenti nel microambiente che circonda i motoneuroni colpiti. L'inizio della SLA può essere così subdolo che i sintomi vengono spesso trascurati. I sintomi iniziali includono brevi contrazioni (mioclonie), crampi oppure una certa rigidità dei muscoli; debolezza dei muscoli che influisce sul funzionamento di un braccio o di una gamba; e/o voce indistinta o tono nasale. Questi disturbi generali si sviluppano in forme di debolezza più evidente o atrofia che possono portare il medico a sospettare una forma di SLA[1]. Dal momento che i sintomi della SLA possono essere simili a quelli di una larga varietà di altre malattie o disordini più trattabili, devono essere condotti test appropriati per escludere la possibilità di altre condizioni. Una di queste prove è l'elettromiografia, una tecnica di registrazione speciale che rileva l'attività elettrica provocata o spontanea nei muscoli. Finora non è stata scoperta alcuna cura definitiva per la SLA. Nonostante questo, la Food and Drug Administration ha approvato il primo trattamento farmacologico per la malattia: il riluzolo. Si pensa che il riluzolo possa ridurre il danno ai motoneuroni, perché riduce il rilascio di glutammato. Altri trattamenti per la SLA sono mirati a rendere meno gravi i sintomi ed a migliorare la qualità della vita per i pazienti. Queste cure palliative vengono fornite al meglio da team multidisciplinari costituiti da professionisti dell'assistenza come medici, farmacisti, fisioterapisti, terapisti occupazionali, e logopedisti, nutrizionisti, assistenti sociali ed infermieri specializzati. Nelle fasi più avanzate della malattia possono essere necessarie forme di ventilazione meccanica per impiego di lunga durata. Anche se il supporto di ventilazione può migliorare i problemi respiratori e prolungare la sopravvivenza, non incide sulla progressione della SLA. I progressi della medicina, hanno allungato le aspettative di vita e la sopravvivenza dei pazienti affetti da SLA che rimangono dipendenti dal ventilatore meccanico in modo parziale o totale. Questi pazienti, hanno il diritto ad un trattamento terapeutico più umano possibile e la struttura sanitaria ha il dovere di utilizzare più efficacemente ed efficientemente possibile i posti letto ospedalieri dedicati ai pazienti acuti. L’ADI e nel nostro caso particolare, la ventilazione domiciliare rappresenta la risposta più articolata che il SSN è riuscito ad elaborare. La ventilazione domiciliare rappresenta il massimo impegno dell’ADI per la assoluta necessità di collaborazione fra strutture territoriali e ospedaliere specialistiche, fra erogatori di presidi terapeutici e farmacia, fra medico di famiglia e personale infermieristico[3]. Nonostante l’impegno del servizio pubblico, tra le difficoltà incontrate all'inizio del trattamento spicca quella di adattamento dei familiari alla nuova situazione: la cannula tracheostomica e ancor di più la ventilazione domiciliare provocano scompiglio nella vita dell'utilizzatore e nella gestione quotidiana dell'assistenza. La famiglia deve fare un notevole sforzo, deve farsi carico 24 ore su 24 di tutta la gestione quotidiana della vita del paziente: essere disponibile in ogni momento a cambiare la cannula, regolare la macchina, controllare i tubi, aspirare... in una parola essere sempre attenti e vigili. Per i familiari questa è una vita davvero difficile, complicata spesso dall'impossibilità di continuare l'attività lavorativa precedente, ciò a volte determina anche problemi finanziari[6]. E’ pertanto indispensabile che, dopo la verifica della stabilità delle condizioni cliniche del paziente, siano accertati altri requisiti come una forte motivazione dell’interessato e dei suoi familiari, la presenza di un familiare che si faccia carico dell’ammalato, le condizioni socio-ambientali e non ultimo l’adesione fattiva del medico di famiglia. L’ADI è certamente il futuro del SSN sia per motivi economici che per motivi di umanizzazione della terapia, per ottenere questo è comunque necessario non solo un notevole sforzo culturale, organizzativo e tecnologico ma soprattutto fornire un’assistenza domiciliare personalizzata secondo il bisogno, verificando periodicamente i risultati ottenuti. Quella che stiamo vivendo, è un’epoca rivoluzionaria in campo medico. Nell’arco di una generazione, siamo passati da una medicina basata sull’Esperienza, ad una medicina basata sull’Evidenza. Oggi la stessa generazione si sta confrontando con un altro importante cambiamento, lo sviluppo di una medicina basata sulla Tecnologia. Senza dubbio, lo sviluppo tecnologico ha creato nuove e straordinarie possibilità per il miglioramento della diagnosi e delle cure[4]. Ma le applicazioni di tali straordinarie scoperte, se non accompagnate da un serio dibattito etico, possono trasformarsi in strumenti di oppressione per gli esseri umani.
Studio
Osservando, rispetto a quanto detto, i componenti di un sistema familiare interagiscono tra di loro e reagiscono nella “situazione congiunto ammalato”, ci troviamo di fronte a diversi stili relazionali. Nel tentativo di mantenere l’omeostasi (Jackson,1957) la famiglia cerca di adattarsi alla malattia seguendo un processo che implica l’attraversamento di fasi che spesso sono parallele a quelle che vive il paziente stesso[7]. Ruoli confusi, negazione delle conseguenze legate alla malattia al fine di mitigare una realtà avvertita come intollerabile, famiglie rigide con individualizzazione esasperata profondamente tesa a mantenere lo “status quo ante”,negando che ci sia bisogno di cambiamento per affrontare il problema. Atteggiamento iperprotettivo ed eccessivamente coinvolto con manifestazioni di ansia marcata nei confronti del sofferente. Scarsa spinta all’autonomia con atteggiamento distaccato per cui si preferisce, per proteggersi dall’ansia, delegare o nascondere il tutto, soffocando il conflitto esistente. Da questo punto di vista un sostegno concreto che provenga dal contributo di operatori dell’aiuto appare particolarmente importante per le famiglie, le quali possono costruire un rapporto personalizzato con l’operatore che le aiuta e non sentono di perdere il controllo nella situazione di cura. L’operatore diventa per la famiglia una persona con cui condividere ansie e incertezze. Egli sembra in grado di raccogliere e di riconoscere quei bisogni dell’intera famiglia[9]. Inoltre, sembra rappresentare per molte famiglie una maniera per accedere nuovamente a una "normalità" relazionale frequentemente abbandonata a causa della malattia, un riavvicinarsi a relazioni sociali frequentemente trascurate a causa del totale assorbimento relativo all’assistenza. Dunque, utile a due livelli. Sul piano pratico aiuta la famiglia a iniziare un dialogo con i servizi per eventuali momenti di assistenza, di contatto, nella presa di decisione. Inoltre sul piano psicoeducativo aiuta i famigliari a elaborare nuove modalità di approccio relazionale con il congiunto malato, permette di avere dei momenti di dialogo con qualcuno, sostenendoli nei momenti critici e di sconforto. L'obiettivo prioritario, pertanto, è quello di garantire il massimo sostegno alla famiglia in difficoltà intervenendo sul suo disagio con un approccio relazionale globale, che garantisca lo sviluppo di un processo di mediazione tra individuo in difficoltà e le altre persone. In tal senso, i familiari sono visti come alleati e co-protagonisti, non viene loro attribuita alcuna colpa o responsabilità, non sono, di conseguenza considerati malati o bisognosi di trattamento; si riconosce, piuttosto il fatto che sopportano un carico e molte limitazioni in conseguenza del disturbo del congiunto e che debbono essere aiutati a migliorare le loro strategie di gestione del disturbo e di comunicazione con gli altri, affrontare meglio lo stress della vita di tutti i giorni per tendere al raggiungimento degli obiettivi personali e della famiglia.
Progetto:
La malattia di un familiare, con tutti i risvolti psicologici ed emozionali, colpisce principalmente il “caregiver” (supporter). La “persona attorno alla quale, sostenendola e potenziandola, si può costruire una sorta di “impalcatura psicologica” in grado di sostenere il peso della situazione e ridistribuirlo emotivamente, compensato, agli altri componenti del nucleo”[11]. Se la malattia si protrae molto a lungo, subentra, ad un certo punto, quasi immancabilmente, la crisi del caregiver. Essa non appare tanto legata agli aspetti, alle espressioni medico-cliniche della malattia (gravità delle condizioni, disturbi comportamentali, perdita completa della autosufficienza, ecc.) quanto alla incapacità, avvertita da parte del caregiver, di continuare la sua funzione. Egli si sente sopraffatto dalla situazione, che sembra sfuggirgli di mano; ha l’impressione di perdere il controllo sul comportamento del paziente e, soprattutto, sulle sue stesse reazioni emotive, arrivando in questo modo ad un punto di rottura. La “resistenza” del caregiver d’altra parte varia da soggetto a soggetto e dipende da numerosi fattori: dalla età, dalle condizioni di salute e di resistenza fisica, dalle motivazioni psicologiche e dalle relazioni interpersonali preesistenti alla malattia, dalle convinzioni morali e religiose, dalle abitudini di vita, dalle condizioni economiche, dalle aspettative individuali, ecc. ecc.. Si è dunque pensato che sarebbe ritornato utile monitorizzare, oltre che l'assistito, anche la famiglia allo scopo di poter individuare precocemente eventuali difficoltà e pericoli nel percorso assistenziale domiciliare che può porsi come rischioso per il loro benessere psicologico. In tal senso, il potenziamento ed una fattiva politica territoriale, può aiutare le famiglie a sopportare il peso assistenziale del proprio congiunto[11]. La malattia e le sue caratteristiche, hanno un notevole impatto sul nucleo familiare in termini di assistenza ma soprattutto anche di coinvolgimento emotivo di tutti i membri e particolarmente del caregiver. La lenta progressione della malattia, diversi disturbi e le difficoltà del malato, rappresentano buoni indicatori non solo del livello di gravità della malattia, ma anche della complessità dei bisogni e delle funzioni di assistenza. La nascente struttura sanitaria ad elevato contenuto umanitario che persegue il fine di migliorare la qualità di vita dei pazienti affetti da SLA e del recupero dei familiari, diventa l’alternativa ai casi in cui aumentano le difficoltà logistiche ed il ricovero rappresenta un sollievo momentaneo per la famiglia. In questo modo si può ottenere una significativa riduzione dei ricoveri impropri in ospedale in quanto di fronte alla diagnosi di inguaribilità, il reparto ospedaliero diventa non adatto per le cure del malato ed ogni intervento invasivo rischia di trasformarsi in accanimento terapeutico ed il protrarsi della degenza in reparto diventa improprio e causa di disagi e sofferenza[8]. L’obiettivo che ci si propone consiste nella realizzazione di una casa vacanza capace di garantire assistenza a sei pazienti. La casa vacanza dovrà essere un centro per familiari e pazienti affetti da SLA, una struttura di accoglienza all’interno della quale verranno effettuate terapie farmacologiche e riabilitative per il paziente che raggiunge livelli d’avanguardia e, nel contempo, promosse attività socio-assistenziali a sostegno della famiglia che avrà un ruolo determinante nel programma terapeutico. Stante questa situazione, ad oggi si evidenzia un uso improprio e inadeguato del posto cura nella Unità Intensive Ospedaliere, con un’incidenza dei costi del SSN superiore a quella necessaria e con una erogazione di prestazioni sanitarie assolutamente non efficaci sulla cura e riabilitazione del paziente con SLA, oppure, come accade nella maggior parte dei casi, una impossibilità a trovare risposte al fabbisogno a causa del ridotto numero di posti letto su tutto il territorio nazionale, con un incredibile aggravio di spese e disagio sociale. Invece i progetti e i programmi di cura e riabilitazione di questi pazienti devono essere connotati in modo specifico e dovranno essere diversificati, non tanto e non solo, per una intensività di trattamento, ma per una specificità individuale che consideri come primaria la particolarità socio-familiare in cui il soggetto è inserito e da cui proviene. Non esistono ad oggi parametri relativi ai requisiti strutturali, organizzativi e di personale, nonché alle tariffe da applicare. Allo stesso modo non esiste nemmeno un protocollo medico concorde della comunità scientifica. La degenza nella casa vacanza prevede pertanto una densità medio-bassa di atti medici relativi alla gestione del profilo biomedico ed essenzialmente di natura programmata, con gli obiettivi clinico assistenziali prevalenti di mantenere o migliorare l’equilibrio ottimale dell’ambiente biometabolico e le funzioni biologiche di base. Il paziente deve essere in discrete condizioni di stabilizzazione clinica, in assenza di comorbilità di rilievo e che non necessitino di sorveglianza medica continua, stabilmente in eupnea con parametri di saturazione normali, sufficienti parametri emodinamici, assenza di aritmie importanti, percorso diagnostico completato - neurochirurgico, ortopedico o chirurgico e con assoluta assenza di stato settico. La struttura fisica è caratterizzata dalla residenzialità temporanea con moduli abitativi autonomi: minialloggi individuali con spazi giorno e notte, integrati da spazi comuni di soggiorno, attività di socializzazione, attività di comunità, laboratori diagnostici, sale terapeutiche (motoria, occupazionale, cognitivo/espressiva). Poiché il ruolo attivo e consapevole dei familiari è cruciale sia in termini di relazione che di mantenimento dei ritmi e riti della vita quotidiana, viene assicurata la possibilità di una convivenza continuativa in condizioni di comfort adeguato, la agibilità di eventi e luoghi che agiscano come sincronizzatori della vita familiare ed il rispetto dei bisogni di autonomia e privatezza sia del familiare che del paziente. Viene applicato un modello paradomiciliare in ospedale, fondato sulla priorità delle relazioni di care e conseguente centralità gestionale della famiglia. L’organizzazione della componente sanitaria e assistenziale professionale segue i principi della interprofessionalità, del lavoro in team, dell’assistenza per obiettivi e della relazione di aiuto. Le procedure operative si uniformano ai principi della regolazione sensoriale. La componente sanitaria assicura le migliori procedure tecniche e assicura altresì un ruolo di consulente “esperto” con finalità informative ed educative. Questo modello prepara alla assunzione graduale, responsabile e consapevole, delle funzioni di care giver dopo la dimissione. Il familiare quindi non è solo parte del team professionale che definisce e realizza il progetto riabilitativo individuale, ma è organizzatore in prima persona del ritmo e del rito quotidiano e delle relazioni di “care”[12]. La permanenza si allontana radicalmente da una degenza intesa come "tempo passivo" in attesa di fasi delimitate di attività rieducative nell'ambito di settings standardizzati. La quotidianità si modella sul principio di un "ambiente terapeutico", dove tempi e spazi sono definiti da programmi integrati di attività sulla base di un progetto individuale. I programmi dovranno essere flessibili ed in grado di organizzare l'intera giornata, superando la dicotomia fra tempo assistenziale e tempo terapeutico verso un unico tempo riabilitativo, organizzato secondo ritmi riconoscibili ed accettati[5]. La famiglia del paziente, orientata agli aspetti motivazionali, relazionali e comportamentali, per lo sviluppo delle risorse della persona e per lo studio di soluzioni facilitanti che amplino le possibilità di comportamenti attivi, come musicoterapica, pet terapy, educatore, per il recupero dell’identità e della storia personale e la ricostruzione di un progetto di vita[9]. L’unico canale di accesso alla casa vacanza è rappresentato dal centro di rianimazione di Castellammare di Stabia. La ragione di questa esclusività, riguarda il modello terapeutico della casa vacanza che è a basso tasso di medicalizzazione e pertanto la gestione della instabilità clinica viene assicurata da un protocollo che prevede il passaggio presso la degenza dal centro di rianimazione per il tempo necessario alla gestione della criticità. Il ricovero presso la casa vacanza può protrarsi sino al recupero delle condizioni di “normalità” antecedenti il ricovero. Nel momento in cui il paziente e la famiglia raggiungono una stabilizzazione del quadro globale, gli operatori competenti (medico, caposala ed educatrice) decidono la sua dimissione. In questa fase, le famiglie possono contare su una rete di opportunità e servizi territoriali capaci di garantire loro il ritorno nel proprio contesto familiare e sociale di appartenenza. Allo stesso tempo, è necessario garantire allo stesso una continuità terapeutica mediante l’attivazione dei servizi territoriali, sospesi per il periodo del ricovero. La composizione della variabile costo in un’organizzazione come la casa vacanza è, senza dubbi, una variabile fondamentale se consideriamo l’attività svolta dall’organizzazione. Si tratta di un servizio svolto all’interno di una struttura a capacità produttiva limitata e ben definita, inserita in un’organizzazione ospedaliera più vasta, con cui possono essere pensate forme di perseguimento di economie di scopo. L’utilizzo in comune di personale e di strutture di servizio, contribuisce infatti ad abbassare il costo complessivo. Ancora, le prospettive di analisi economico/finanziaria si amplierebbero ulteriormente considerando il contributo erogato dai degenti titolari di trattamento pensionistico e di accompagnamento, trattenuto dalla struttura per il periodo relativo al ricovero.
Conclusioni
Nei prossimi decenni saremo chiamati ad affrontare un crescente problema di assistenza a lungo termine, non solo prevedendo una maggiore spesa su questo versante, ma anche specializzando le risposte e riorganizzandone le funzioni e le relazioni operative con il sistema ospedaliero. Sul versante della specializzazione, che presuppone lo studio di tipologie edilizie, percorsi assistenziali, formazione specifica del personale, appare cruciale la adozione di un sistema di finanziamento basato sul “case-mix” dei pazienti assistiti, da realizzare con particolare attenzione al carico assistenziale, più che alla diagnosi clinica, secondo il modello proposto dai RUG. È necessario inoltre prevedere la diffusione di strutture destinate alla gestione professionale del paziente cronico. Il problema del collegamento di queste strutture con il sistema ospedaliero è di tipo sia strutturale che organizzativo[10]. Se la loro localizzazione più adeguata appare fuori dall’ospedale, ritengo strategico che esse mantengano con l’ospedale una connessione funzionale, nell’ambito di programmi di Disease Management che garantiscano continuità assistenziale, appropriatezza della cure e garanzia dei livelli assistenziali necessari.
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Storia di Luca: le difficoltà e la gioia di vivere, l’intervento e il mistero del coma,
Vaccari M., Vaccari M., De Nigris F., 2005. L’operazione è perfettamente riuscita.