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Lo scopo di questo blog è far conoscere al pubblico, ai pazienti ed ai colleghi interessati, l’attività della Rianimazione dell'ospedale San Leonardo di Castellammare di Stabia, ASL NA 3 SUD; offrendo loro la possibilità di conoscere risorse infermieristiche ed esperienze facili ed utili da fruire.
UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI NAPOLI “FEDERICO II”
FACOLTA’ DI MEDICINA E CHIRURGIA


Corso di Laurea in Infermieristica
Sede Policlinico

Tesi di Laurea

MAXIEMERGENZA, 118 E IL CITTADINO


RELATORE CANDIDATO
Prof. FRANCESCO LEONE FRANCESCO PAOLO RITI



Anno Accademico 2003/2004

MAXIEMERGENZA, 118 E IL CITTADINO






L’idea di questa tesi mi è nata, per poter fronteggiare il problema estremamente attuale, delle maxi-emergenze che ultimamente hanno coinvolto la nostra penisola, alluvioni, terremoti o crolli di edifici, rischio di eventi terroristici e guerre . Ogni anno questi eventi causano un elevato numero di vittime e ancora oggi sono in grado di mettere l’Italia “in ginocchio” a causa della scarsa informazione e formazione della popolazione ed in particolare dei soccorritori. Siamo infatti un popolo che, un po’ per cultura, tende all’ improvvisazione dimostrandosi impreparato ad affrontare una maxi-emergenza.
In questa tesi ho quindi cercato di dare delle risposte ai miei interrogativi, iniziando dal “ saper ” per giungere al “ saper essere ” transitando obbligatoriamente attraverso il “ saper fare ”.
Il rischio è definibile come un pericolo che minaccia qualcuno o qualcosa (individuo, famiglia, casa, territorio). La sua importanza è valutata sulla base dei danni che può provocare e sulla base di quanto sia esposto. Una eruzione vulcanica, ad esempio, è sempre un pericolo, ma diventa un rischio solo se il territorio esposto è abitato o ha qualche interesse strategico; in caso contrario il rischio non viene valutato. Possiamo individuare:
1) Rischi naturali che dipendono da fenomeni naturali, come ad esempio: terremoti, maremoti, eruzioni vulcaniche, frane, esondazioni, inondazioni, alluvioni, incendi provocati da autocombustione o fulmini. 2) Rischi antropici dipendenti dall’attività dell’uomo, come ad esempio: fughe di sostanze tossiche, esplosioni di gas, incendi colposi o dolosi, etc. le priorità mirano alla tutela ed alla sicurezza di un ambito generalmente più vasto rispetto a quello individuale o famigliare, e tale priorità deve essere rispettata. Nel corso di un’emergenza pertanto si devono mantenere calma ed ordine, e dare aiuto a chi è in difficoltà (bambini, anziani, portatori di handicap); portare tempestivamente all’attenzione degli organi preposti le anomalie rilevate può consentire un’anticipazione dell’intervento di emergenza e quindi ad una riduzione degli effetti. È quindi necessario allertare l’organo interessato, riferendo esattamente i fatti, quali e quanti siano i soggetti esposti; infine, bisogna ricordare che, per la prevenzione dei rischi in ambiti più ristretti, quali quello di casa, bisogna essere sempre attenti agli impianti: un impianto non ben realizzato e mal gestito può causare un incidente che può coinvolgere case vicine e passanti. Inoltre alcuni dispositivi (rilevatori di gas, blocco nell’erogazione del gas a fiamma spenta, prese elettriche di sicurezza, salvavita, luci di emergenza) possono essere molto utili.
1.1. RISCHI NATURALI
La particolare situazione idrogeologica del territorio italiano spiega l'interesse che hanno assunto le operazioni di sistemazione dei terreni, nonché l'entità dei mezzi e di energia spesi per difendere il suolo dal dissesto e dai pericoli del ristagno idrico. Al riguardo l'Italia si discosta sensibilmente dagli altri Paesi europei, in particolare Germania, Francia, Inghilterra e Paesi Bassi, poiché:
·Il territorio italiano è prevalentemente collinare (43%) e montuoso (35%), mentre le pianure costituiscono solo il 22%;
·I suoli italiani variano dai terreni sciolti e ricchi di scheletro a quelli argillosi, con forte prevalenza di questi ultimi;
·Il regime pluviometrico è caratterizzato da piogge abbondanti, concentrate in brevi periodi dell'anno, con frequenti rovesci ed acquazzoni. Questi fattori, uniti alla ridotta diffusione delle colture arboree e boschive e alla notevole densità demografica che provoca lo sfruttamento intensivo del territorio agrario, sono le cause dei molti problemi di assetto idrogeologico che assillano l'Italia. Vaste aree collinari e montane sono quindi fortemente soggette ai fenomeni erosivi che scavano solchi, burroni, calanchi e provocano frane e smottamenti che sottraggono prezioso terreno ai boschi e ai pascoli montani, nonché ad ampie zone coltivate collinari. La difesa del suolo naturale è un compito impegnativo, che può essere attuato solo con opere di vasta portata: rimboschimento, dei pendii instabili, imbrigliamento dei torrenti, rinforzo degli argini, costruzione di bacini d'invaso e di una estesa rete di canali di scolo e di irrigazione.
Le cause delle alluvioni e del conseguente dissesto idrogeologico sono da ricercare nei cambiamenti climatici, nella fragilità del territorio, nella modificazione radicale degli equilibri idrogeologici lungo i corsi d'acqua e nella mancanza d'interventi manutentori da parte dell'uomo soprattutto nelle aree montane in abbandono dove non si esercitano più le tradizionali attività agricole e forestali. Nelle porzioni montane dei bacini idrografici, durante un evento intenso di pioggia, prevalgono fenomeni di erosione lungo i versanti (movimenti franosi in terreno o roccia) con la formazione di imponenti e devastanti fenomeni di trasporto di materiali detritici lungo gli alvei dei torrenti. Nei fondovalle, invece, anche a causa dell'arrivo di ingenti quantità di materiali che vanno ad ingombrare gli alvei fluviali, prevalgono fenomeni di erosione fluviale e di esondazione. L'uomo ha cercato di comprimere sempre di più i fiumi nei loro alvei con opere di difesa spondale, argini, scogliere, canalizzazioni. Nelle zone franose e nei torrenti di montagna sono state invece realizzate opere di consolidamento (muri, muri rinforzati con tiranti, drenaggi, reti paramassi, ecc.) ed opere idrauliche come briglie, soglie a ancora argini. I fiumi si sono sempre più artificializzati, perdendo le caratteristiche di habitat favorevole per specie animali e vegetali. Oggi un diverso andamento dei fenomeni di piovosità (in parte meno estesi ma più concentrati che nel passato, anche in ragione del tendenziale modificarsi del clima) aumenta la frequenza e la violenza dei fenomeni alluvionali anche nel nostro paese, incrementando il grado di rischio idrogeologico. Paradossalmente si è verificato, almeno in alcuni casi, che le opere di difesa idrogeologica si sono dimostrate responsabili di un peggioramento della situazione nelle zone a valle e di un aggravio delle condizioni di rischio idrogeologico. Il ricorso alle opere di difesa e di sistemazione del territorio si è quindi rivelato insufficiente e va superato, prevedendo l'utilizzo delle stesse solo nei casi più urgenti, per la difesa di abitati o di opere importanti già esistenti, per le quali non sono prevedibili altre soluzioni. Per verificare quali realmente siano le possibili cause di un eventuale rischio di dissesto idrogeologico, bisogna iniziare a monte. In primo luogo possiamo incontrare superfici in evidente stato di erosione provocate da origini antropiche (eccessivo pascolo, frequenti incendi di origine dolosa, realizzazione di strade, piste di esbosco, piste da sci, cave, discariche, oleodotti, metanodotti, elettrodotti, abitazioni, quest'ultimi realizzati senza alcun accorgimento e successive opere manutentorie). In molte zone montane un altro tipo di fattore che può provocare instabilità nei versanti sono i sovraccarichi dovuti ad accumuli di neve o acque meteoriche, accumulo di detriti, crescita della vegetazione, attività antropiche (accumuli di cave, discariche, accumuli di acquedotti, ecc..). Le sistemazioni idraulico-forestali di tipo estensivo attuate in passato dal Corpo Forestale dello Stato e dal Genio Civile e non più proponibili per ragioni di elevati costi consentivano di contenere maggiormente la produzione di sedimenti in quota ossia l'erosione diffusa. Oggi tramite l'ingegneria naturalistica (termine odierno che raggruppa insieme la maggior parte degli antichi interventi di sistemazione idraulico-forestale), sulla base di nuove conoscenze derivate dalla ricerca tecnica e biologica si sono potuti migliorare molti vecchi sistemi costruttivi e svilupparne dei nuovi. La difesa dell'assetto idrogeologico dei territori collinari e montani si basa essenzialmente su interventi di:
·Consolidamento dei pendii più soggetti ai fenomeni erosivi;
·Rallentamento della velocità di scorrimento delle acque superficiali e dei corsi d'acqua.
La sistemazione dei bacini montani si attua con la fondamentale pratica del rimboschimento, specie dei pendii più ripidi e poco stabili; la folta vegetazione ostacola l'azione battente della pioggia e gli estesi apparati radicali contribuiscono a trattenere il terreno.Per facilitare l'insediamento delle piante e difenderle dagli smottamenti, si può sistemare il terreno innalzando dei muretti in pietra che trattengono il materiale eroso, formando delle terrazze ad andamento irregolare (gradonamento).Un altro intervento utile consiste nella regolazione dei ruscelli che scorrono rapidamente verso valle; questi sono convogliati in acquidocci opportunamente protetti da briglie e argini in cemento, oppure vengono fatti scorrere lentamente su percorsi a pendenza ridotta. Nei torrenti che, durante i periodi di piena (primavera e autunno), possono raggiungere grosse portate e notevoli velocità di deflusso, i fenomeni erosivi sono più evidenti; gli argini sono frequentemente degradati e scavati in profondità e questo accelera il cedimento dei pendii sovrastanti.Per ridurre il moto vorticoso delle acque vengono realizzate delle briglie in calcestruzzo o con altri materiali, quali legname, muratura, terra, che dividono il corso del torrente in tratti a minore pendenza, situati su livelli diversi, rallentando cosi l'erosione e riducendo il trasporto a valle di materiale; in questo modo gli argini sono meno soggetti a smottamenti e ciò consente lo sviluppo della vegetazione e una maggiore efficacia dell'intervento.Se il degrado degli argini minaccia direttamente strade o abitati, è indispensabile procedere al loro consolidamento con la posa in opera di lastroni o blocchi cubici in cemento, oppure di gabbioni metallici riempiti di pietrame. Il miglioramento della viabilità montana e la costruzione di nuove strade pongono il problema del consolidamento delle scarpate per evitare, a monte, la caduta di sassi e, a valle, il cedimento del fondo stradale. Per evitare la caduta di massi e di pietrisco sono utilizzate frequentemente delle griglie di metallo o legno poste verticalmente lungo la scarpata. Se la scarpata è ripida e i materiali che si staccano sono di piccole dimensioni, si ricorre efficacemente alla posa di reti metalliche ancorate in più punti ed eventualmente ricoperte da uno strato di cemento a spruzzo.Gli interventi ecologicamente più avveduti, di prevenzione, pianificazione territoriale, devono avere per obiettivi:
·Migliorare ed aumentare la produzione legnosa, per garantire la continuità e l'incremento dell'efficienza protettiva dei boschi, assicurare la conservazione delle caratteristiche estetiche e naturalistiche dei boschi aiutando le popolazioni collinari e montane a divenire parte attiva della gestione del territorio;
·Realizzare, nelle zone vallive e di pianura, la riduzione della velocità di deflusso dell'acqua, tramite la creazione di "casse d'espansione" (aree lasciate libere per l'espandersi delle acque di piena) nelle zone di pertinenza del fiume, così da rendere meno violenti gli eventi di piena;
·Incrementare le sistemazioni idraulico forestali e la diffusione di tecniche bio-ingegneristiche e di interventi rispettosi delle esigenze ecologiche. L'art. 17 della L. 97/94 prevede la possibilità per i coltivatori diretti, singoli o associati, conduttori di aziende agricole di assumere in appalto, in deroga alle vigenti disposizioni di legge in materia, sia da Enti pubblici che da privati: lavori relativi alla sistemazione e manutenzione del territorio montano, in materia di forestazione, costruzione di piste forestali, di arginature, di sistemazione idraulica, di difesa dalle avversità atmosferiche e dagli incendi boschivi;
·Salvaguardare le caratteristiche del paesaggio ed evitare i rischi di incendio o quelli connessi alla sicurezza idraulica nelle aree pertinenti gli agglomerati abitativi;
Soddisfare l'esigenza sempre più sentita dal turista di montagna, della ricerca di percorsi naturalistici poco frequentati con il ripristino della piccola viabilità;
·Studiare e proporre norme particolari per la gestione della caccia, della pesca, per la disciplina della raccolta dei funghi;
Promuovere ed incrementare l'educazione ambientale, lo studio ed il controllo dell'ambiente e della sua qualità.
1.2. RISCHIO CHIMICO
L'aumento della densità di popolazione, la famelicità della società consumistica, il notevole incremento di infrastrutture, servizi e prodotti e del loro utilizzo irrispettoso, causano inevitabilmente un'altissima concentrazione di rischi nelle aree urbane ed in quelle ad esse strettamente correlate. Nel novero dei rischi antropici, alcuni ci appaiono più rilevanti sia per la pressione che essi esercitano a livello globale, che per il diretto coinvolgimento della cittadinanza nella loro gestione. Tra questi abbiamo:
·Il rischio chimico;
·Il rischio nucleare;
·Il rischio incendi.
I primi due punti si sviluppano spesso nelle aree urbane o nelle loro immediate vicinanze, dove sono localizzati siti industriali i cui processi, in condizioni anomale dell'impianto o del suo funzionamento possono causare fuoriuscite di sostanze pericolose. Il terzo punto si sviluppa invece in aree naturali, nella maggior parte dei casi di elevato pregio paesaggistico, che possono portare a danni molto gravi dal punto di vista ecologico.Il rischio chimico - industriale deriva dalla fuoriuscita da impianti industriali, cisterne o contenitori di vario tipo di sostanze tossiche, cioè composti chimici che provocano effetti nocivi sulla vita umana, animale e vegetale quando sono inalati, ingeriti, assorbiti per via cutanea o diffusi nell'aria, nell'acqua e nel suolo. Il rischio chimico - industriale comprende anche l'emanazione di sostanze infiammabili, come gas o altri combustibili, e di sostanze esplosive. Questi rilasci sono quasi sempre dovuti a cause incidentali, come incidenti stradali nel caso di spargimento di combustibili, o disattenzione e inesperienza degli addetti nel caso del rischio industriale. Nell'ultimo decennio é decisamente aumentata l'attenzione verso i rischi sanitari e ambientali, più prevedibili di quelli naturali. Tuttavia il mondo industriale non potrà mai essere totalmente sicuro e di conseguenza non esistono attività umane prive di rischio. Tali fenomeni di alterazione ambientale possono produrre svariati effetti quali:
Lesioni, ustioni e causticazioni per l'uomo nel caso di inalazione, ingestione o assorbimento per via cutanea di sostanze tossiche;
Crolli o danneggiamenti a causa del rilascio di grandi quantità di energia nel caso di esplosioni o incendi;
Contaminazioni tossiche nel caso di sversamenti di sostanze inquinanti per l'ambiente.
L'entità del rischio è variabile, in quanto delle migliaia di industrie presenti sul territorio solo poche sono considerate altamente pericolose, cioè in grado di provocare danni gravi in caso d'incidente. Come termine di paragone per definire il massimo rischio atteso per gravità ed estensione, viene preso un potenziale incidente paragonabile a quello avvenuto presso l'ICMESA di Seveso nel luglio del 1976, quando si verificò un grave rilascio di diossina. Le conseguenze di quell'incidente indussero gli stati europei a predisporre la regolamentazione delle attività industriali più pericolose, cioè quelle che possono provocare incidenti con conseguenze simili a quello riscontrate in quell'occasione, definite attività a rischio d'incidente rilevante.Le industrie a rischio d'incidente rilevante sono quelle in cui sono presenti determinate sostanze pericolose per l'organismo umano (sostanze tossiche) che possono essere rilasciate all'esterno dello stabilimento o che possono liberare grandi quantità di energia termica (sostanze infiammabili) o energia dinamica (sostanze esplosive).Gli incidenti rilevanti si possono quindi definire come eventi che comportano l'emissione incontrollata di materia e/o energia all'esterno dei sistemi di contenimento tale da dar luogo ad un pericolo grave, immediato o differito per la salute umana e per l'ambiente, all'interno o all'esterno dello stabilimento.Il miglioramento degli standard di sicurezza e la messa a punto di sistemi di prevenzione e protezione previsti nelle normative per le industrie a rischio d'incidente rilevante hanno lo scopo di ridurre il rischio agendo sia sulla probabilità che accadano incidenti, sia sulla mitigazione delle loro conseguenze.
1.3. RISCHIO NUCLEARE RADIOATTIVO
Il rischio nucleare deriva dalla propagazione di radiazioni ionizzanti nell'aria, emanate da sostanze radioattive o in seguito a esplosioni di centrali o armi nucleari. L'esposizione alle radiazioni comporta numerosi effetti nocivi sulla vita umana, animale o vegetale: esse alterano le strutture cellulari provocando la morte o lesioni gravissime, o possibili malformazioni e tumori nei discendenti. Contrariamente all'opinione più diffusa il rischio nucleare in Italia non è scomparso con la chiusura delle centrali nucleari sul territorio nazionale. In condizioni di diffusione atmosferica sfavorevole, incidenti ad impianti nucleari lontani dal territorio nazionale possano determinare contaminazioni radioattive su lunghe distanze di acqua, aria e suolo. Sono ben 13 le centrali nucleari a distanza minore di 200 km dal confine italiano (6 in Francia, 4 in Svizzera, 2 in Germania ed 1 in Slovenia).Il rischio nucleare può poi derivare da incidenti che avvengono:
In impianti italiani anche se disattivati;
In centri di ricerca, stabilimenti o luoghi in cui si detengono o s'impiegano sostanze radioattive;
Durante il trasporto o l'impiego di sostanze radioattive;
A natanti a propulsione nucleare, compresi i sommergibili, che incrociano in prossimità delle coste italiane;
In seguito alla caduta di satelliti con sistemi nucleari a bordo;
In seguito ad attività non conosciute.
Per emergenza radioattiva si intende ogni situazione determinata da eventi incidentali che diano, o possano dare luogo, ad una immissione di radioattività nell'ambiente tale da comportare per il gruppo di riferimento della popolazione dosi superiori ai valori stabiliti a norma di Legge (comma 6 articolo 96 Legge 230/95). L'immissione di radionuclidi nell'ecosistema può dipendere dalle più svariate cause e la quantità della contaminazione dipende sostanzialmente dal tempo che la radionuclide impiegherà per dimezzare la sua radioattività.
In caso di emergenza nucleare si possono distinguere:
a. una fase iniziale (alcune ore dall'inizio dell'incidente) in cui il rischio è determinato da inalazione del materiale radioattivo e da irraggiamento dalla nube radioattiva;
b. una fase intermedia (fino ad alcune settimane) in cui il rischio è determinato da irraggiamento esterno da deposizione al suolo, irraggiamento interno da inalazione di particelle sospese o da ingestione di cibo ed acqua contaminata;
c.una fase ritardata (da alcune settimane ad alcuni anni) in cui il rischio può derivare dal consumo di cibo e, in generale, dalla contaminazione ambientale.
Responsabile del danno all'individuo è la radiazione ionizzante. Per radiazione ionizzante si intende qualsiasi radiazione che direttamente o indirettamente modifica la carica elettrica degli atomi o delle molecole e di conseguenza le proprietà chimiche di queste: ciò ha un effetto significativo sui processi biologici, per cui la radiazione ionizzante può provocare danno agli organismi viventi. Esistono essenzialmente due tipi di effetti: quello somatico e quello genetico.Gli effetti somatici riguardano le cellule che presiedono alle funzioni dell'organismo, quelli genetici riguardano invece i danni che si possono riscontrare nelle generazioni future. L'irradiazione può essere interna od esterna: nel caso della contaminazione interna i radionuclidi entrano nel corpo umano dall'ambiente esterno e raggiungono l'uomo attraverso la rete alimentare per inalazione, per ingestione o in seguito a lesioni della cute. L'irradiazione interna è più pericolosa perché difficile da rimuovere e perché interessa cellule e molecole che possono essere fondamentali dal punto di vista della vita. La protezione dalla irradiazione interna può essere realizzata limitando l'incorporazione per inalazione ed ingestione. L'irradiazione esterna è dovuta a radiazioni emesse da sostanze radioattive sospese nell'aria, depositate al suolo, sul corpo umano e/o su animali. L'organismo può essere protetto dall'irradiazione esterna evitando o riducendone l'esposizione mediante allontanamento dalla sorgente, limitazione del tempo di esposizione o schermatura. In Italia, nel campo della protezione dalle radiazioni ionizzanti, la legge fondamentale, che ha sostituito il DPR 13 febbraio 1964, n. 185, entrata in vigore il 1 gennaio 1996, è il decreto legislativo del 17 marzo 1995, n. 230. La legge disciplina tutte le attività che implicano la detenzione, l'immagazzinamento, la produzione, la manipolazione, il trattamento e l'eliminazione delle sostanze radioattive naturali o artificiali; quindi, oltre agli usi specifici dell'energia nucleare, riguarda anche le macchine radiogene utilizzate a fini medici ed industriali. In base alle prescrizioni contenute in detta normativa l'ex ENEA - DISP, oggi divenuta ANPA (Agenzia nazionale per la protezione Ambiente costituita a seguito dell'emanazione della Legge n. 61 del 21 gennaio 1994) ha il compito di coordinare le misure adottate in Italia, di promuovere l'installazione di stazioni di prelievo dei campioni e di misura, di trasmettere agli organismi competenti le informazioni relative ai rilevamenti effettuati. I controlli vengono svolti tramite una rete di rilevamento dislocata su tutto il territorio nazionale, capace di misurare ricadute radioattive (fall aut) da test nucleari, da incidenti gravi, da contaminazione a largo raggio e di valutare le dosi assorbite dalla popolazione a causa della radioattività dissolta nell'ambiente.La regolamentazione protezionistica è fissata sulla base di raccomandazioni emanate periodicamente dalla "Commissione Internazionale per la Protezione dalle Radiazioni" (ICRP). Le suddette raccomandazioni si ispirano ai seguenti principi generali:
Non dovrà essere autorizzata alcuna attività che comporti esposizioni alle radiazioni, a meno che il fine di tale attività non rappresenti un beneficio netto e positivo per gli interessati;
Tutte le esposizioni alle radiazioni dovranno essere mantenute a livelli tanto bassi quanto è concretamente ottenibile tenendo conto dei fattori economici e sociali. Le calamità sono tutti gli eventi che possono arrecare danni agli uomini e all'ambiente e che sono causati da fenomeni naturali, prevalentemente di origine geologica, meteorologica o climatica. Solitamente, non vengono considerate calamità naturali le conseguenze derivanti dalle epidemie di malattie infettive. Strettamente legato al concetto di calamità naturali è quello di rischio, vale a dire di probabilità che si verifichi un certo evento capace di produrre effetti indesiderati. L'opinione pubblica è spesso più sensibile al rischio di eventi di tipo catastrofico, cioè a quegli eventi che si manifestano improvvisamente provocando gravissimi danni nell'immediato, piuttosto che a eventi di tipo cronico, che provocano danni complessivamente altrettanto gravi ma distribuiti in un lungo lasso di tempo. Un esempio di rischio cronico è la presenza di forti dosi di radioattività o di metalli tossici nell'ambiente. Per poter studiare e prevedere questi eventi è indispensabile utilizzare le conoscenze acquisite dalle varie discipline che studiano l'ambiente e i fenomeni naturali; la gravità di una catastrofe naturale viene valutata in base alle dimensioni dell'area colpita, all'intensità dell'impatto prodotto, alla durata degli effetti di tale impatto, alla frequenza con cui l'evento catastrofico ricorre e al grado di prevedibilità di quell'evento. Il tipo di impatto prodotto da alcune attività dell'uomo è paragonabile a quello prodotto dalle più gravi calamità naturali. In alcuni casi le catastrofi naturali sono causate, direttamente o indirettamente, dalle attività umane e da determinati interventi dell'uomo sul territorio.
2.1. TIPI DI CALAMITA’
Le calamità naturali ricorrono con maggiore frequenza nei paesi caratterizzati da climi tropicali, dalla presenza di fattori di rischio sismico e vulcanico, e dalla carenza di infrastrutture protettive per l'ambiente e gli insediamenti umani.
Tra gli eventi naturali potenzialmente più catastrofici vi sono i terremoti e le eruzioni vulcaniche; questi due tipi di attività si manifestano principalmente lungo i margini delle porzioni dette placche, o zolle, in cui è suddivisa la crosta terrestre. Particolarmente colpite sono le aree che circondano l'oceano Pacifico, ovvero la cosiddetta "cintura di fuoco" del Pacifico. Le eruzioni vulcaniche possono avere un notevole impatto ambientale sia a livello locale, sia su scala planetaria. I vulcani inattivi possono risvegliarsi a intervalli molto irregolari; nel 20% dei casi si risvegliano meno di una volta ogni 100 anni e in alcuni casi (2%) perfino una sola volta ogni 10.000 anni. I danni ambientali causati dalle eruzioni vulcaniche sono provocati non solo dalle colate laviche, ma anche dai depositi di ceneri e lapilli (depositi piroclastici) e dal rilascio nell'atmosfera di gas tossici. Quando i terremoti o le eruzioni vulcaniche si verificano presso le coste o in mare aperto possono dare origine a maremoti (o tsunami), ovvero a spostamenti di enormi masse di acqua che, avvicinandosi alla costa, formano onde altissime in grado di spazzare via insediamenti ed ecosistemi nelle aree litoranee su cui vanno a riversarsi. Tra i più comuni eventi meteorologici che possono essere causa di eventuali calamità naturali si annoverano temporali, nevicate, grandinate, gelate e prolungati periodi di siccità, nonché alcuni gravi incendi e il moto ondoso dei mari. Gli uragani che colpiscono le regioni tropicali sono tra gli eventi naturali più devastanti; oltre a travolgere tutto con la forza dei loro venti, che possono raggiungere i 300 km/h, spesso provocano gravi inondazioni. Tra i fattori che provocano le regolari inondazioni naturali vi sono il temporaneo innalzamento del livello del mare e i forti venti stagionali dei monsoni; l'innalzamento delle acque dei fiumi, dovuto alla deforestazione delle zone montuose. I tornado sono violente trombe d'aria che devastano ampie aree continentali, soprattutto negli Stati Uniti, in India e in Australia, e sono in grado di sollevare oggetti di dimensioni considerevoli e di spostarli anche a grandi distanze. Alluvioni e siccità si alternano spesso nelle regioni tropicali in cui, a stagioni caratterizzate da forti piogge, fanno seguito stagioni estremamente secche. In passato causa della scomparsa di grandi civiltà, la siccità rappresenta attualmente una seria minaccia per le popolazioni di molte regioni africane, soprattutto di quelle ai margini del Sahara, dove l'avanzata del deserto è spesso favorita dallo sfruttamento indiscriminato delle aree agricole e dei pascoli e dalla deforestazione incontrollata. Spesso le calamità croniche non vengono riconosciute, in quanto non producono danni immediatamente visibili e non sono sempre facilmente individuabili; il loro impatto, tuttavia, può interessare vasti strati della popolazione. In molti casi la loro capacità potenziale di causare danni è paragonabile a quella di fenomeni quali l'inquinamento atmosferico o idrico. Solo di recente, ad esempio, si è scoperto che il radon, un gas radioattivo sprigionato da certi substrati rocciosi che si insinua nelle abitazioni passando attraverso le fondamenta, può essere una delle cause del cancro al polmone. In India e in Cina il fluoro contenuto nell'acqua potabile e in alcuni cibi contaminati da sostanze inquinanti prodotte dalla combustione del carbone è responsabile di gravi malformazioni ossee (fluorosi) in alcuni strati della popolazione. Anche la carenza di certi elementi nell'ambiente può avere la valenza di una calamità cronica: il consumo di prodotti agricoli coltivati su suoli poveri di selenio, ad esempio, può provocare nell'uomo disturbi di vario genere, soprattutto cardiaci. Colture e bestiame risentono spesso della mancanza o dell'eccessivo apporto di elementi quali rame e zinco. Una frana è un processo di distacco e discesa, per effetto della gravità, di notevoli masse di materiale roccioso lungo versanti a notevole pendenza.In seguito alla caduta di una frana si formano cavità nella zona di distacco e si determina l'accumulo del materiale precipitato. Le frane interessano sia le pareti rocciose, sia altri tipi di pendii meno ripidi, da cui si stacca lo strato superficiale di terreno non compatto.La caduta di una frana di solito è un evento improvviso e veloce, ma esistono anche frane lente, che restano attive per decine di anni. Una frana è così composta:
· La scarpata principale corrisponde alla superficie che delimita il terreno stabile dalla parte superiore della frana. Il suo prolungamento al di sotto del materiale spostato prende il nome di superficie di distacco.
· Il corpo di frana costituisce tutto il materiale interessato dal movimento.
· Il piede è la parte di frana che si trova a valle del movimento, mentre la testa è la parte più elevata.
· La zona di accumulo è formata dall'accumulo dei materiali che si sono mossi. Il fronte è la parte terminale della zona di accumulo.
3.1. TIPOLOGIE DI FRANE
In base alle caratteristiche del terreno in cui si sono verificate e alle modalità di scivolamento si distinguono: frane di crollo, frane di scivolamento, frane di scoscendimento, smottamenti, e frane di colamento. Le frane di crollo hanno origine da pareti verticali o fortemente inclinate e sono collegate alla presenza di fratture nella roccia compatta e all'erosione della base del pendio. Nelle frane di crollo si ha la caduta libera dei frammenti che si staccano dalla roccia madre. Le frane di scivolamento si verificano quando interi strati rocciosi cadono scivolando lungo un pendio costituito da rocce compatte. Lo scivolamento è spesso favorito dall'esistenza, al di sopra del piano di scivolamento, di strati di argilla imbevuti d'acqua.Nelle frane di scoscendimento il materiale roccioso scivola verso il basso lungo un pendio concavo verso l'alto, cosicché la parte superiore della frana resta inclinata all'indietro. Gli smottamenti intervengono quando si ha la caduta abbastanza rapida di una massa di materiale incoerente imbevuto di acqua. Il fenomeno si verifica sui pendii argillosi dei rilievi in seguito a piogge abbondanti che saturano d'acqua il terreno.Le frane di colamento sono originate da piogge intense e si presentano come movimenti rapidi lungo canaloni di materiali costituiti da un miscuglio di fango, roccia e acqua La degradazione fisica e chimica può produrre frammenti che si depositano alla base del pendio come detrito di falda. Il materiale incoerente si ammassa alla rinfusa secondo una pendenza ottimale che gli consente una buona stabilità. Gli indizi che denunciano la possibilità di una frana sono fratture più o meno evidenti nel suolo, rigonfiamenti del terreno, scomparsa o comparsa di sorgenti, spostamenti o inclinazione di alberi o pali, caduta di sassi. Quando questi segni suggeriscono l'approssimarsi del pericolo si ricorre a sistemi di controllo dei versanti a rischio: per esempio, vengono poste ortogonalmente alle fratture spie in gesso o in vetro, in modo che si spezzino al minimo movimento, oppure sui versanti da controllare vengono sistemati gli inclinometri, strumenti in grado di monitorare i movimenti di dilatazione e compressione in atto.
3.2. PREVENZIONE E CONTROLLO
Le frane possono provocare danni ingenti alle cose e alle persone.La prevenzione e il consolidamento delle frane sono gli interventi di difesa più frequenti operati dall'uomo sul territorio.Gli interventi di prevenzione sono come sempre i migliori. L'uso scorretto del territorio può trasformare un terreno normale in un terreno franoso.Una volta individuati i terreni poco stabili, una efficace misura preventiva consiste nell'evitare la costruzione di manufatti su questi terreni. Evitare sbancamenti.Opere edilizie che sovraccaricano i versanti possono provocare frane. Identiche conseguenze si hanno con sbancamenti che aumentano eccessivamente la pendenza dei versanti. Circolazione delle acque. Altri interventi di prevenzione riguardano la circolazione delle acque superficiali e sotterranee. Bisogna impedire che le acque di ruscellamento raggiungano il terreno instabile.Le acque di ruscel- lamento vanno allontanate dalle zone a rischio mediante fossi di scolo. L'acqua che si infiltra, infatti, appesantisce il terreno, che frana con maggiore facilità. La prevenzione delle frane si attua anche favorendo lo sviluppo della copertura vegetale ed estraendo acqua dal terreno mediante pozzi. Si possono costruire opere di contenimento, come muri di sostegno e gabbionate, o appesantire con materiale inerte il piede della frana per stabilizzarla. Un terremoto o sisma, è un'improvvisa, rapida vibrazione del suolo causata dal rilascio di una grande quantità di energia accumulata in masse rocciose. Precisamente un terremoto è prodotto dalla brusca liberazione dell'energia accumulata da una roccia sottoposta a sforzo.Il fenomeno che sta alla base della maggior parte dei terremoti è chiamato rimbalzo elastico. A pressioni non elevate le masse rocciose, se sottoposte a sforzi, hanno un comportamento "fragile": la roccia si deforma in modo elastico fino ad un valore A dello sforzo accumulando energia. Al di sopra di tale valore la relazione non è più lineare. Quando lo sforzo raggiunge un determinato valore C (punto di rottura) la roccia si rompe, liberando tutta l'energia accumulata fino a quel momento. Pertanto se una porzione di roccia inizia a deformarsi, essa offrirà una certa resistenza (che cambia a seconda del tipo di roccia), ma quando le forze che tengono insieme la roccia vengono superate da quelle che tendono a deformarla allora questa si spezza a partire dal punto più debole dove si crea una faglia. Si ha un brusco spostamento (sia in senso orizzontale che in senso verticale) delle due parti che rilasciano l'energia che avevano accumulato durante la deformazione. Le due parti quindi ritornano in pochissimo tempo alla loro posizione di equilibrio, cioè in uno stato indeformato. Se invece in una massa rocciosa esiste già una faglia e le rocce vengono sottoposte a nuove sollecitazioni, è l'attrito tra le due parti rocciose ad opporsi al movimento e a fare accumulare tensione nelle rocce. Quando la tensione che si è accumulata supera la resistenza dell'attrito, le due parti riescono a muoversi una rispetto all'altra fino a raggiungere una nuova posizione di equilibrio. In seguito, le tensioni fra i due blocchi crostali potranno riprendere ad accumularsi e prima o poi si verificherà un nuovo brusco spostamento delle parti e quindi un nuovo evento sismico. Il fenomeno può essere paragonato a ciò che succede quando si tende un elastico: a un certo punto si giunge al limite oltre il quale l'elastico si rompe liberando l'energia che aveva accumulato durante la tensione. L'energia accumulata nelle rocce si libera sotto forma di intense e rapide vibrazioni che si propagano in tutte le direzioni (come una sfera) sotto forma di onde elastiche chiamate onde sismiche. Il punto della litosfera da dove inizia la propagazione delle onde sismiche è detto fuoco o ipocentro. L'ipocentro di un terremoto viene individuato dalla sua profondità in chilometri e dalla sua posizione in latitudine e longitudine. Il termine epicentro, più comunemente usato in riferimento alla localizzazione di un terremoto, indica il punto della superficie terrestre direttamente sopra l'ipocentro. Raramente un terremoto si presenta come un fatto isolato. Esso può essere preceduto da piccoli movimenti tellurici ed è seguito quasi sempre da scosse tanto numerose quanto più intenso è stato il primo evento. Queste scosse vengono definite repliche e non scosse di assestamento come a volte vengono chiamate perché in occasione di un terremoto, all'interno della terra non si assesta nulla ma avviene solo un mutamento degli equilibri esistenti. In base alla profondità dell'ipocentro i terremoti si possono dividere in:
1. terremoti superficiali con ipocentro tra 0 e 70 km; rappresentano circa l'85% di quelli registrati ogni anno;
2. terremoti medi con ipocentro tra 70 e 300 km; rappresentano circa il 12% del totale;
terremoti profondi con ipocentro oltre i 300 km; sono circa il 3% del totale.
Le onde sismiche sono essenzialmente onde sonore che si irradiano dall'ipocentro. Il comportamento delle rocce attraversate dalle onde sismiche permette di dividere queste ultime in due principali tipi: onde di compressione, anche note come primarie o onde P, che viaggiano, alla velocità compresa tra 1,5 e 8 chilometri per secondo nella crosta terrestre. Queste onde sono particolarmente veloci e sono le prime che si registrano con il sismografo. Onde di distorsione, altrimenti note come secondarie o onde S, che viaggiano più lentamente, solitamente dal 60% al 70% della velocità delle onde P. La traiettoria descritta da entrambe le onde non è rettilinea perché esse vanno soggette a riflessione ed a rifrazione quando attraversano le superfici di discontinuità che segnano il passaggio da una zona ad un'altra di diversa composizione. Le onde P fanno vibrare il terreno nella stessa direzione in cui si propagano, mentre le onde S lo fanno vibrare perpendicolarmente o trasversalmente alla direzione di propagazione. Oltre alle vibrazioni longitudinali e trasversali esistono altri tipi di onda, che percorrono la superficie del suolo senza spingersi in profondità. Queste sono importanti perché inducono sforzi di taglio nel terreno e producono i maggiori danni in caso di sisma. La loro velocità è minore rispetto alle S, e anch'esse possono essere di tipo trasversale (onde di Lave o onde L) o longitudinale (onde di Rayleigh o onde R). Le onde sismiche prodotte da un terremoto si propagano attraverso l'intera Terra. Disponendo di strumenti abbastanza sensibili, è possibile registrare le onde sismiche anche di un piccolo evento che si verifichi in qualsiasi luogo nel mondo in un qualsiasi altro posto del globo.
4.1. IL RISCHIO SISMICO IN ITALIA
L'Italia è situata nella zona di collisione tra le placche Africana ed Eurasiatica, e questo fatto comporta un elevato rischio sismico. La sismicità in Italia, è concentrata nella parte centro-meridionale della penisola ed in alcune aree settentrionali. In questo millennio si sono verificati almeno 30.000 eventi sismici di media e forte intensità, 200 dei quali disastrosi. Nell'ultimo secolo, i terremoti più forti hanno interessato soprattutto le regioni appenniniche, la Calabria, la Sicilia, il Friuli, le Marche e l'Umbria causando complessivamente 120.000 vittime e danni stimati in 60.000 milioni di euro. Oltre alle abitazioni, alle opere pubbliche e alle vite umane, una parte consistente del patrimonio storico ed artistico del nostro paese è fortemente esposta agli effetti del terremoto come purtroppo si è potuto constatare in seguito al sisma che ha colpito l'Umbria e le Marche nel settembre del 1997. Sulla base della frequenza e intensità dei terremoti del passato, una parte del territorio nazionale è stata classificata in tre categorie sismiche, alle quali corrispondono livelli crescenti di protezione richiesti per le costruzioni. Nel 1980 il Ministero dei Lavori Pubblici ha effettuato la riclassificazione sismica del territorio nazionale. La dichiarazione di sismicità di un territorio significa che in quel territorio ci si attende, prima o poi, un terremoto con capacità distruttive. Nei comuni classificati sismici le nuove costruzioni devono essere progettate e realizzate in modo tale da poter sopportare senza gravi danni i terremoti meno forti e da non crollare in seguito a quelli più forti. Complessivamente è classificato sismico il 45% della superficie del territorio nazionale, nel quale risiede il 40% della popolazione. Oggi si stanno predisponendo nuovi studi per la riduzione del rischio sismico, al fine di sviluppare una più incisiva azione di prevenzione.
4.2. DISTRIBUZIONE GEOGRAFICA DEI TERREMOTI
La maggior parte dei terremoti si verifica in tre fasce principali, precisamente lungo le dorsali oceaniche, nelle catene montuose di recente formazione e nella cosiddetta cintura di fuoco circumpacifica. Altre zone sismicamente attive sono le regioni con faglie e fratture dell'Africa orientale e alcune zone marginali alle masse continentali. In generale devono essere considerate pericolose tutte le aree con faglie ancora in movimento. Ogni anno sull'intero pianeta si registrano in media circa un milione di terremoti, ma solo pochi hanno effetti disastrosi. I terremoti che si verificano lungo le dorsali oceaniche hanno ipocentro superficiale e magnitudo relativamente bassa. Le catene montuose di recente formazione comprendono la catena alpina e la catena himalayana. Qui i terremoti hanno ipocentri superficiali e possono raggiungere magnitudo elevate. Nella cintura di fuoco circumpacifica si registra il maggior numero di eventi sismici disastrosi ed è qui che gli ipocentri raggiungono le maggiori profondità. Il 95% dell'attività sismica si verifica nelle fasce lungo le quali avvengono i contatti tra le placche litosferiche. Confrontando la distribuzione delle aree vulcaniche e la localizzazione delle principali placche litosferiche con la distribuzione geografica delle aree sismiche, si rileva una notevole coincidenza nella distribuzione di questi due tipi di fenomeni. Questa coincidenza è dovuta al fatto che le aree di confine delle placche rappresentano zone di compressione e di distensione della litosfera e sono le zone di maggiore instabilità della superficie terrestre.
4.3. COME SI MISURANO I TERREMOTI
Dai dati sintetizzati nei sismogrammi, è possibile dedurre la durata, l'epicentro, la profondità della faglia dei terremoti e l'ammontare dell'energia rilasciata. L'intensità di un terremoto è valutata con la scala Mercalli e con la scala Richter. La scala Mercalli misura l'intensità degli effetti di un terremoto in una data località. Sulla scala Mercalli i valori, o gradi, variano da I a XII.Nella scala Richter l'intensità sismica si esprime come magnitudo, e questa è definita dal logaritmo del rapporto fra la massima ampiezza di oscillazione del terreno e la durata dell'oscillazione. Dalla magnitudo, tramite formule empiriche, si può risalire all'energia rilasciata da un sisma. I sismografi sono il principale strumento degli scienziati che studiano i terremoti. Migliaia di stazioni sismografiche sono in funzione in tutto il mondo, e questi strumenti sono stati trasportati anche sulla Luna, su Marte e su Venere. Fondamentalmente un sismografo è un semplice pendolo. Quando la terra trema, la base dello strumento si muove con essa, ma l'inerzia mantiene il pendolo in posto. Esso allora sembrerà muoversi, relativamente al suolo che vibra. Muovendosi esso traccia su un rullo di carta una registrazione chiamata sismogramma.Una stazione sismografica, dotata di tre differenti pendoli disposti in maniera da registrare rispettivamente i movimenti in senso nord-sud, est-ovest e verticali della terra, possono produrre sismogrammi che consentono agli scienziati di stimare la distanza, la direzione, la magnitudo Richter e il tipo di movimento di faglia che ha causato il terremoto. I sismologi usano reti di stazioni sismografiche per determinare la localizzazione di un terremoto, e per meglio stimare gli altri suoi parametri. Il vulcano è un'apertura della crosta terrestre attraverso la quale, dall'interno della Terra, può fuoriuscire in superficie materiale roccioso fuso (magma), unitamente a gas.Il termine, che si applica genericamente anche alle forme del paesaggio prodotte in seguito alle eruzioni magmatiche, deriva dal nome di una delle isole Eolie: qui, secondo la mitologia latina, il dio del fuoco Vulcano aveva la sua fucina.Vi sono vari tipi di eventi vulcanici che possono rappresentare un pericolo per la vita umana e per le cose:
Correnti piroclastiche;
Lahar;
Valanghe di cenere e detriti;
Colate di lava;
Caduta di frammenti piroclastici;
Gas vulcanici;
Tsunami.
5.1. CORRENTI PIROCLASTICHE
Le correnti piroclastiche sono formate da un miscuglio di frammenti di roccia e gas ad alta temperatura. Si muovono velocemente sotto l'azione della forza di gravità. Il comportamento del fluido dipende dalla concentrazione delle componenti solide nella massa dei gas. Le correnti ad alta concentrazione sono essenzialmente non turbolente. Le correnti a bassa concentrazione, chiamate surges, possono espandersi come uragani.Le correnti piroclastiche sono potenzialmente altamente distruttive a causa della loro massa, dell'alta temperatura, dell'alta velocità e della grande mobilità. L'unico modo per evitare questo rischio è quello di evacuare la zona prima che si verifichi l'eruzione. I lahars sono fluidi formati da acqua e parti solide di tutte le dimensioni. Le parti solide sono originate direttamente o indirettamente dall'azione del vulcano. I lahars possono formarsi da correnti piroclastiche che scorrono sopra neve e ghiaccio. Possono avere velocità comprese tra 1 m/s e 40 m/s e possono percorrere centinaia di chilometri.
5.2. COLATE DI LAVA
Le colate di lava raramente costituiscono un pericolo per la vita delle persone ma bruciano ogni cosa lungo il loro percorso. Possono ostruire fiumi formando laghi che riempiendosi di acqua possono poi straripare allagando il territorio circostante. Si può tentare di controllare le colate di lava costruendo barriere e canali per deviarne il corso o distruggendo con esplosivo la sorgente o il fronte avanzato. Il materiale piroclastico è formato da frammenti di varia dimensione: polveri (<2>5.3. GAS VULCANICI
I gas vulcanici vengono rilasciati nell'atmosfera durante un'eruzione o da sorgenti idrotermali. Il più abbondante di questi gas è il vapore acqueo, altri gas importanti sono l'anidride carbonica, il monossido di carbonio, gli ossidi di zolfo, l'idrogeno solforato, il cloro e il fluoro. I gas vengono trasportati lontano dal cratere sotto forma di aerosol, di composti che impregnano i piroclasti e di microscopiche particelle. I composti dello zolfo, il cloro e il fluoro reagiscono con l'acqua formando sostanze acide che possono danneggiare gli occhi, la pelle e il sistema circolatorio di uomini e animali anche in piccolissime concentrazioni. Gli acidi possono inoltre danneggiare la vegetazione e corrodere oggetti metallici. Grandi volumi di polvere ed aerosol provenienti da eruzioni esplosive possono influenzare il clima locale e perfino quello globale. Uno tsunami è un'onda lunga o una serie di onde generate da un improvviso spostamento di masse d'acqua. Gli tsunami si spostano a grande velocità e provocano danni enormi quando giungono sopra la costa. Molti tsunami sono causati da terremoti ma alcuni sono conseguenza di attività vulcanica.
5.4. PREVISIONE DELLE ERUZIONI VULCANICHE
Oggi, grazie a strumenti sempre più raffinati, le eruzioni sono previste con largo anticipo dai vulcanologi e si possono prendere misure di precauzione e di evacuazione, riducendo così i pericoli per la popolazione che vive in prossimità di un vulcano.Quando un vulcano è prossimo a passare da una condizione di riposo ad una fase di attività, il magma viene sospinto dalla sua camera sotterranea verso la superficie.Questa imminente ripresa dell'attività viene segnalata da un insieme di cosiddetti segni premonitori, tra i quali i più significativi sono il sollevamento della terra causato dalla pressione esercitata dal magma in risalita, la comparsa di spaccature nell'edificio vulcanico, il verificarsi di lievi terremoti e i cambiamenti nella composizione chimica, nel flusso e nella temperatura dei gas emessi. Tutti questi segnali possono essere avvertiti, misurati e registrati.Intorno alle pendici dei vulcani vengono installate stazioni fisse di sismografi in grado di registrare continuamente i microterremoti. Le deformazioni del terreno vengono misurate con particolari strumenti chiamati geodimetri, strumenti che sono in grado di misurare con l'approssimazione di un millimetro per chilometro la distanza tra due punti diversi e quindi i loro eventuali cambiamenti di posizione. I mareografi vengono utilizzati per rilevare i movimenti del suolo al livello del mare, tiltmetri per misurare le inclinazioni della superficie, gravimetri per controllare le variazioni dei campi di gravità. I vulcani vengono tenuti sotto osservazione anche attraverso satelliti artificiali. Il GPS (Global Positioning System) è un sistema di riferimento satellitare che consente una mappatura su scala mondiale dei cambiamenti della crosta terrestre. I satelliti artificiali, con sensori all'infrarosso, rivelano anche le variazioni termiche e quindi la presenza di colate laviche sotterranee. Si calcola che in Italia, paese a rischio sismico, vulcanico, di frane ed inondazioni, più di 20 milioni di persone vivono in aree a rischio. Secondo dati recenti, nell’ultimo secolo si sono contati circa 120.000 morti a causa di eventi sismici e negli ultimi 20 anni oltre 15.000 milioni di euro di danni da dissesto idrogeologico, e il termine calamità richiama immediatamente alla mente il concetto di emergenza. Eventi recenti hanno riproposto all’opinione pubblica il problema dell’emergenza ed interrogativi circa l’efficacia delle misure di prevenzione, per un intervento mirato a minimizzare i danni da calamità naturali. L’emergenza sanitaria si configura in quelle circostanze che si presentano in modo improvviso e con dimensioni e complessità tali da richiedere la mobilitazione di competenze e di risorse economico-materiali che trascendono le normali possibilità organizzative ed operative locali e routinarie di un sistema sanitario, investendo le pubbliche autorità che si pongono in stato di allarme per fronteggiare circostanze attualmente o potenzialmente lesive per la pubblica incolumità. Inoltre, non necessariamente l’emergenza sta ad indicare un notevole numero di malati o feriti (macro o maxi-emergenze), che richiede un intervento sanitario urgente e simultaneo, non fronteggiabile dalla ordinaria organizzazione sanitaria.Alcune patologie, infatti, per esempio le grandi ustioni, possono mettere in crisi una grande struttura ospedaliera anche con un numero limitato di colpiti, perché richiedono interventi di elevato contenuto tecnico-specialistico, spesso disponibili solo in strutture adeguatamente attrezzate. L’emergenza sanitaria si configura in senso più lato, oltre che in caso di gravi danni alle cose (terremoti, alluvioni, inondazioni, incendi e sinistri stradali, ferroviari, navali o aerei), anche in caso di danno al sistema ecologico, ambientale ed animale, tale da richiedere massicci interventi di prevenzione e di gestione dell’igiene e della medicina generale in caso di noxae biologiche (inquinamento del suolo e dell’acqua in caso di malattie infettive e contagiose ad alta diffusibilità), chimiche (inquinamento industriale per rottura dei sistemi di sicurezza nella lavorazione di sostanze altamente tossiche) o fisiche (incidenti nucleari con contaminazione radioattiva dell’ambiente). Dall’emergenza va distinta l’urgenza, che attiene più prettamente al campo medico-terapeutico. Determina, per esempio, una situazione d’urgenza una malattia talmente grave da richiedere un immediato e tempestivo intervento sanitario per evitare che una rapida evoluzione peggiorativa possa portare a morte il paziente. Tutte le principali norme di protezione civile nelle grandi emergenze sono state unificate nella L. 24.02.1992, n° 225, che ha istituito il Servizio nazionale della Protezione Civile e che ha attribuito direttamente al Presidente del Consiglio tutte le competenze in materia di protezione civile, esercitate anche per delega dal Ministro dell’Interno o dal Sottosegretario di Stato per la protezione civile. Viene istituito il Dipartimento della protezione civile presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, con funzioni politico-amministrative e di coordinamento, nonché di previsione e prevenzione, mentre la Direzione generale della Protezione Civile e dei servizi antincendi rimane il braccio tecnico-operativo (di recente riorganizzata in un Dipartimento presso il Ministero dell’Interno). La legge 225/92 definisce tre tipi di emergenza: a) eventi naturali o connessi all’attività dell’uomo che possono essere fronteggiati mediante interventi ordinari da parte dei singoli enti di competenza (microemergenza); b) eventi che per la loro natura ed estensione comportano l’intervento coordinato di più enti per via ordinaria (macroemergenza); c) calamità naturali, catastrofi od altri eventi che per intensità ed estensione necessitano di mezzi e poteri straordinari (maxiemergenza e dichiarazione dello stato di emergenza). Altri tre organi centrali vengono istituiti dalla L. 225/92: il Consiglio nazionale della protezione civile, che determina i programmi di massima per la prevenzione delle grandi emergenze, i piani di emergenza e il coordinamento dei soccorsi; la Commissione nazionale previsione e prevenzione grandi rischi (sismico, vulcanico, idrogeologico, nucleare, chimico, industriale, ecologico, trasporti, sanitario) che costituisce una sorta di osservatorio permanente dei grandi rischi; il Comitato operativo con funzioni decisionali. Nella L. 225/92 il rischio sanitario rappresenta un elemento di novità rispetto al passato, poiché per la prima volta esso rientra tra i rischi che necessitano di particolare attenzione e pianificazione a livello centrale, distinguendosi, tra l’altro, dagli altri grandi rischi per la molteplicità degli interventi medico - chirurgici, per i quali servono programmi e studi interdisciplinari. Si inserisce nel quadro più vasto degli interventi diretti ad attuare piani di protezione civile, con la salvaguardia della popolazione, dell’apparato economico, dei trasporti e delle comunicazioni, l’informazione, ecc., assumendo però un ruolo preminente, essendo diretta a salvaguardare in maniera diretta ed immediata un bene primario ed essenziale: la vita.
6.1. GESTIONE DELLA MAXIEMERGENZA
In una maxiemergenza, tutte le componenti devono porsi al suo servizio per realizzare un pronto soccorso medico - chirurgico direttamente sul campo, con la “postazione medica avanzata”, il “triage”, il trasporto e l’evacuazione dei feriti, il trattamento medico, rianimatorio o traumatologico. Bisogna attuare una riorganizzazione ad hoc delle strutture sanitarie fisse già esistenti sul territorio a competenza generale, specialistica o superspecialistica. Bisogna approntare misure igienico-profilattiche sul territorio sinistrato e negli insediamenti provvisori dove saranno alloggiati i superstiti, nonchè salvaguardare l’igiene alimentare del cibo, delle acque e dell’ambiente, lo stoccaggio e la conservazione dello stesso e di materiale igienico - sanitario e di medicamenti.In caso di macro - maxiemergenze (ad es., un attentato aereo, il crollo di un grande edificio abitato o anche una calamità naturale), l’entità del trauma e l’elevato numero di vittime richiede tecniche complesse di gestione del soccorso, in parte mutuate dall’esperienza militare. Da un punto di vista sanitario, una maxiemergenza è una situazione critica, imprevedibile, di vastissime proporzioni, che insorge bruscamente e coinvolge un gran numero di feriti, e che per intensità ed estensione deve essere fronteggiata con mezzi e poteri straordinari. La risposta a tale evento si attua attraverso due fasi: quella degli interventi atti ad estinguere la progressione dell’evento disastroso (spegnimento incendi, abbattimento e rimozione strutture pericolanti, allontanamento delle vittime da una situazione di pericolo) e quella del soccorso vero e proprio (insieme di operazioni che consentono alle unità mediche di prendere in carico le vittime, per garantire la loro sopravvivenza e limitarne i danni conseguenti alle lesioni). Naturalmente, l’azione è simultanea e coordinata, dagli uomini che operano il salvataggio alla catena medica, che effettua sul posto il triage, la terapia e gestisce i mezzi. In ogni caso, il primo compito dei soccorritori è quello di scegliere ed approntare il campo base più adatto al pronto soccorso, nell’ambito del quale verrà effettuata la prima valutazione ed assistenza ai feriti, operando un primo triage (anello fondamentale del soccorso medico in un disastro, perché da esso dipenderanno tutte le operazioni successive), con lo smistamento capillare alle strutture ospedaliere di riferimento, scegliendo il mezzo più idoneo e la priorità di trasporto in funzione non solo della gravità del quadro clinico, ma anche delle possibilità di sopravvivenza durante il trasferimento stesso. In queste situazioni, l’obiettivo primario dei soccorritori è quello di salvare il maggior numero di vite possibile. Esistono, pertanto, linee di comportamento che vanno rispettate per evitare un sovrannumero di vittime. Sarebbe, ad esempio, scorretto impiegare una unità di trasporto per un paziente in fin di vita, ritardando l’ospedalizzazione di un altro ferito ancora recuperabile, ma che nell’attesa potrebbe peggiorare con una drastica riduzione delle sue possibilità di sopravvivenza. E’ intuitivo, perciò, come sia drammaticamente semplice raddoppiare il numero dei morti, non operando un corretto triage. Il triage è un’operazione continua, dinamica, dalla postazione medica avanzata al centro medico di evacuazione fino all’ospedale di accettazione. Di fondamentale importanza per un’efficiente organizzazione dei trasporti e dello smistamento delle vittime è, infine, anche la preparazione specifica all’emergenza degli operatori presenti nella Centrale Operativa che interagisce con i soccorritori. Spesso l’assenza di una “visione” diretta dello scenario e di come questo si modifichi dinamicamente nel tempo può essere critica. Diviene allora di vitale importanza, per organizzare in modo ottimale l’invio dei mezzi di soccorso/trasporto idonei, fornire alla Centrale Operativa un quadro “fotografico” della situazione ambientale, inviando ad essa e alle strutture ospedaliere di riferimento immagini acquisite direttamente dalla scena del disastro.
6.2. L’ORGANIZZAZIONE DEI SOCCORSI NELLA MAXIEMERGENZA
Il soccorso sanitario si articola attraverso diverse fasi: 1) l’allarme; 2) la ricognizione; 3) l’attivazione dei soccorsi; 4) la ricognizione circostanziata; 5) il rilevamento e il recupero delle vittime; 6) il primo triage e il condizionamento; 7) le terapie precoci; 8) l’evacuazione con il secondo triage; 9) l’ospedalizzazione - terzo triage. L’allarme scatta al momento della chiamata ricevuta dalla Centrale Operativa della protezione civile, da parte di un testimone oculare, testimone privilegiato (tecnico, personale della prefettura) o testimone per professione (Polizia di Stato, VV.F.). La valutazione della chiamata sarà effettuata sia attraverso contatti diretti con le autorità locali, sia mediante l’invio sul posto di un “nucleo di valutazione”, che fornirà a livello centrale gli elementi necessari per articolare una risposta mirata. Dopo una prima ricognizione, c’è l’attivazione dei soccorsi, che consiste nel far convogliare mezzi, uomini e materiali verso il luogo del disastro. Si tratterà di soccorsi generici (VV.F., Polizia di Stato, servizi sanitari d’urgenza) e specifici (mezzi idonei per sbancamenti, sollevamenti, utili al recupero di persone o cose in particolari ambienti come montagna, mare o in caso di contaminazioni, o mezzi idonei al ripristino delle vie di comunicazione, telecomunicazione, illuminazione). La ricognizione circostanziata, operata da VV.F., Polizia di Stato o altro personale specializzato, mira ad ottenere il maggior numero di informazioni riguardo al sinistro, alle sue conseguenze sull’ambiente e le infrastrutture, alle conseguenze sulla popolazione, alla valutazione di mezzi ancora disponibili e di strutture sanitarie ancora funzionanti, all’inventario di strutture eventualmente utilizzabili nella catena dei soccorsi, come, in particolare, un ospedale territoriale in cui le vittime potranno essere ricoverate per i trattamenti definitivi. L’ospedale si troverà ad accogliere contemporaneamente un gran numero di feriti cui erogare cure qualificate e comunque adeguate alla gravità delle lesioni riportate. E’ necessario, perciò, un piano di emergenza intraospedaliero che preveda una serie di adempimenti che, a cascata, vengano messi in atto quando dall’osservatorio privilegiato (per es., la Prefettura) viene dato l’allarme. I pazienti dovranno affluire all’ospedale in numero precedentemente individuato, in base alla sua effettiva capacità ricettiva, di personale, di scorta di materiale sanitario. Il rilevamento e il recupero delle vittime è un altro momento delicato della catena dei soccorsi, in quanto mira alla individuazione e all’allontanamento delle vittime dalla zona del disastro. Il recupero può essere effettuato senza medicalizzazione, con medicalizzazione preventiva oppure con prima medicalizzazione direttamente sulla scena del disastro. A questo punto, il triage e il condizionamento (insieme di atti medici tesi ad assicurare la sopravvivenza immediata e la stabilizzazione delle lesioni in attesa del trasporto del ferito in ospedale) sono i momenti centrali del soccorso sanitario in una grande emergenza. La somministrazione di terapie precoci, l’evacuazione dei feriti con mezzi idonei e la loro successiva ospedalizzazione chiude la catena dei soccorsi sanitari. Punto nevralgico di tutta la catena dei soccorsi sanitari è la postazione medica avanzata (PMA), dove si concentrano personale e mezzi sanitari e si provvede alla medicalizzazione e al triage delle vittime recuperate. La PMA non va confusa con l’ospedale da campo, in cui ci sono i degenti, bensì è uno spazio medicalizzato vicino alla zona della catastrofe e a vie di comunicazione, non a rischio evolutivo, che utilizza edifici già esistenti o sistemi modulari, mobili e con possibilità di ampliamento. Il triage operato nella PMA ha il fine di individuare le ferite, organizzare l’evacuazione secondo priorità prestabilite e destinare opportunamente i feriti. Il medico che effettua il triage deve essere dotato di solide basi cliniche generali, con formazione specifica, capace di prendere rapide decisioni e con una buona operatività (osservazione di circa 20 feriti barellati/ora o 60 feriti deambulanti/ora). Con il primo triage si stabilisce chi versa in condizioni di estrema urgenza (da operare immediatamente nell’ospedale da campo o da evacuare con elicottero), di prima urgenza (da operare entro 6 ore), seconda urgenza (entro 18-24 ore), terza urgenza (dopo 24 ore), o chi è semplicemente contuso o in condizioni di urgenza depassé (con lesioni gravissime che non possono trovare soluzione con l’intervento chirurgico), urgenza potenziale (con lesioni a potenziale evoluzione anche improvvisa, da controllare e stabilizzare), urgenze funzionali (a rischio di sequele funzionali importanti per lesioni al viso, mani, occhi, etc., implicanti la necessità di interventi precoci per la salvaguardia funzionale). Più in generale, le urgenze possono essere divise in assolute (estrema - shock, emorragie, insufficienza respiratoria - e prima urgenza - ferite d’interesse chirurgico vascolare o toraciche senza insufficienza respiratoria, fratture esposte, ustioni, traumi cranici) e relative (seconda e terza urgenza - muscoli, pelle, fratture chiuse). Infine, ogni ferito evacuato sarà fornito di una scheda personale di colore diverso (da non confondere con i colori del triage operato nei P.S.) a seconda della gravità (rossa, gialla o verde con priorità rispettivamente assoluta, secondaria o minima ad essere trasportato all’ospedale più vicino; nera per i deceduti).
6.3. PROFILO PROFESSIONALE E RUOLO DELL’INFERMIERE NELLA MAXIEMERGENZA
Prima di introdurre il decreto ministeriale che ben esplicita il profilo professionale dell’ infermiere, vorrei fare un breve accenno relativo a quella che viene definita la professionalità del soccorritore. “ La professionalità del soccorritore , deve necessariamente derivare dalla sua approfondita formazione sanitaria e da alcune caratteristiche di personalità che gli consentiranno di stabilire una relazione personale con il malato”. Questa definizione in relazione al profilo professionale dell’infermiere mi fa supporre che l’infermiere sia un buon candidato per esser coinvolto nell’evento catastrofe. Infatti l’infermiere ha acquisito nel tempo competenze e maggior sapere che hanno trasformato questo operatore sanitario in un professionista che si occupa dell’assistenza generale del malato. Non si tratta di operare solo su un corpo ma anche sull’Essere persona. Il decreto ministeriale n. 739 del 14 settembre 1994, specifica il regolamento concernente l’individuazione della figura e del relativo profilo professionale dell’infermiere.
All’Art. 1 è individuata la figura professionale dell’infermiere con il seguente profilo: l’infermiere è l’operatore sanitario che, in possesso del diploma universitario abilitante e dell’iscrizione all’albo professionale è responsabile dell’assistenza generale infermieristica.
L’assistenza infermieristica preventiva, curativa, palliativa e riabilitativa è di natura tecnica, relazionale, educativa. Le principali funzioni sono la prevenzione delle malattie, l’assistenza dei malati e dei disabili di tutte le età e l’educazione sanitaria. L’infermiere: partecipa all’ identificazione dei bisogni di salute della persona e della collettività; identifica i bisogni di assistenza infermieristica della persona e della collettività e formula i relativi obiettivi; pianifica, gestisce e valuta l’intervento assistenziale infermieristico; garantisce la corretta applicazione delle prescrizioni diagnostico - terapeutiche; agisce sia individualmente sia in collaborazione con gli altri operatori sanitari e sociali; per l’espletamento delle funzioni si avvale, ove necessario, dell’opera del personale di supporto; svolge la sua attività professionale in strutture sanitarie pubbliche o private, nel territorio e nell’assistenza domiciliare, in regime di dipendenza o libero-professionale. L’infermiere contribuisce alla formazione del personale di supporto e concorre direttamente all’aggiornamento relativo al proprio profilo professionale e alla ricerca. La formazione infermieristica post - base per la pratica specialistica è intesa a fornire agli infermieri di assistenza generale delle conoscenze cliniche avanzate e delle capacità che permettano loro di fornire specifiche prestazioni infermieristiche nelle seguenti aree: sanità pubblica, pediatria, salute mentale, geriatria, area critica. Nonostante all’interno della formazione infermieristica non sia prevista una disciplina sulla medicina delle catastrofi, il codice deontologico dello infermiere del 1999, menziona le competenze relative a quest’ambito. Infatti già all’articolo 3.6 specifica che: “ L’infermiere in situazioni di emergenza,è , tenuto a prestare soccorso e ad attivarsi tempestivamente per garantire l’assistenza necessaria. In caso di calamità, si mette a disposizione dell’ autorità competente”. Sicuramente prima di intervenire in un campo così vasto come quello delle catastrofi l’infermiere dovrebbe seguire un ulteriore percorso formativo che lo addestri ad essere abile a prestare la sua opera. Per aiutare qualcuno si deve innanzitutto evitare di mettere a repentaglio la propria incolumità. A causa di eventi molto stressanti, le vittime e gli stessi soccorritori possono essere oggetto anche di pericolosi rischi psicopatologici. L’infermiere – soccorritore non può farlo chiunque , ma va scelto e successivamente formato con un tirocinio che , per ovvie ragioni, non può essere solo teorico. Prima di tutto è molto importante prendere in esame la propria personalità, le attitudini , le motivazioni, le esperienze vissute in precedenza nonché i problemi famigliari ed affettivi, gli eventi stressanti a cui si è stati sottoposti in passato. Infatti una personalità stabile ed equilibrata, una buona formazione, autostima, autocontrollo, disciplina, solida motivazione per questo tipo di lavoro, resistenza alla fatica fisica rappresentano sicuramente dei requisiti psicologici indispensabili per cominciare al meglio l’attività di infermiere - soccorritore. Altri elementi importanti sono: l’appartenenza e l’integrazione armonica in un gruppo operativo, efficiente e in grado di fornire aiuto e rassicurazione nei momenti di defaillance;deve saper svolgere il suo ruolo in équipe nel rispetto di quello degli altri, impegnandosi a collaborare in modo sinergico con gli altri membri, anche nelle condizioni più difficili; poter fare affidamento ad una “figura – leader” professionalmente competente e preparata ad affrontare i diversi problemi. L’infermiere - soccorritore deve essere in grado di riconoscere in sé e negli altri i primi segni di cedimento fisico e mentale, al fine di evitare l’instaurarsi di stress psicologici che possono causare il “ Burn – out”. E’ stato osservato che i quadri psicologici e le reazioni di disadattamento si presentano con maggior frequenza ed intensità nei soggetti che al momento dell’ impatto non sanno che cosa , come e perché fare. Tale incapacità è legata alla risonanza emotiva dell’evento e alla personalità di base, alla mancanza di sentimenti d’identificazione di sé nel gruppo e al pessimismo che impedisce di vedere, al di là del momento critico, una positività esistenziale nel futuro. Fondamentale per l’ infermiere soccor-ritore è l’operare in un ambiente in cui vi sia una conoscenza della realtà ed una cultura delle emergenze individuali e collettive attraverso la strutturazione di soluzioni razionali già prestabilite per i momenti critici e per il controllo dell’emotività. La conoscenza di soluzioni razionali e l’addestramento sistematico deve portare l’operatore all’acquisizione di automatismi di risposta, a prestazioni di efficienza che ridurranno il rischio di una reazione di stress patologico. E’ quindi necessario che l’infermiere soccorritore, venga addestrato, formato e continuamente monitorizzato al fine di non diventare egli stesso vittima. Se non sarà possibile un’ accorta selezione e preparazione del personale, sarà sempre più facile trovarsi di fronte a tipologie di soccorritori che si discostano da un profilo psicologico idoneo prima tratteggiato, quali l’ individualista che pensa egoisticamente al proprio interesse e limita i suoi sforzi, il “ Rambo” indisciplinato con atteggiamenti sproporzionati e grandiosi che coglie l’ occasione per mettersi in mostra per i suoi atteggiamenti eroici, l’indeciso pusillanime che necessita costantemente di stimoli e rassicurazioni. Allora cosa sapere per poter saper fare:
· Scenario catastrofico: l’evento, rende vittima l’individuo, sconvolgendo il suo modo di essere ed il suo rapportarsi con la realtà.
· I destinatari dell’ intervento sono individui diversi.
· Obiettivo dell’ intervento è offrire il sostegno necessario affinché l’ individuo riesca a mobilitare ed utilizzare le proprie risorse.
· Presentare la propria figura professionale, il proprio ruolo, i propri intenti.
· Proporsi piuttosto che imporsi: rassicurare con la propria presenza, senza risultare invadenti.
· Far sentire l’individuo legittimato e protetto: accogliere e rispettare, senza giudicare, qualsiasi manifestazione di sofferenza, assecondando i tempi di reazione dell’ individuo; essere solidale con il dolore di tutti e la sofferenza di ognuno.
L’ infermiere – soccorritore deve saper essere: osservatore accurato, coerente, autentico, empatico, emotivamente supportivo, comprensivo, sensibile, riflessivo, buon ascoltatore, conscio dei propri limiti personali, consapevole delle proprie emozioni e dei propri stati d’animo,adeguato e pertinente, discreto.Ciò che assolutamente non deve fare e: Assumere atteggiamenti stereotipati, tenere una condotta investigativa, porsi in modo censurante e moralista, banalizzare, generalizzare, normalizzare, fornire false e premature rassicurazioni o speranze. Lo stress acuto o globale a seguito dell’ esposizione permanente e continua all’ evento, sottopone l’ operatore al rischio di un trauma psichico. Il disagio si può manifestare in modo diverso, con gravità diversa e con la necessità di interventi diversi a seconda che colpisca un operatore alla prima esperienza o operatori con più esperienze alle spalle. Quest’ ultimi non sono mai totalmente desensibilizzati alla visione di morti violente e sono particolarmente vulnerabili quando le vittime sono bambini. Nella pratica, la necessità del triage (termine introdotto da Dominique Larrey, chirurgo della guardia imperiale di Napoleone, per indicare lo “smistamento” delle vittime) nasce dal momentaneo squilibrio di provvedere ad un gran numero di vittime in rapporto ai mezzi disponibili. In caso di maxiemergenza, si impone una classificazione e smistamento delle vittime al di fuori di qualsiasi procedura ordinaria.Gli standard internazionali prevedono dei criteri di valutazione che possiamo riassumere in:
A- Airway valutare la pervietà delle vie aeree
B- Breathing valutare la funzione respiratoria (guardo, ascolto, sento)

C- Circulation valutare la funzione cardiocircolatoria
D- Disability valutare eventuali deficit neurologici
E- Exposure valutare eventuali lesioni
Con le prime lettere dell'alfabeto e in un modo che può sembrare riduttivo, è possibile dare una valutazione primaria (coscienza, respiro e circolo) e una valutazione secondaria (ispezione dei distretti corporei es. testa, collo, torace...). Da questo concetto introduciamo il termine TRIAGE, che deriva dal francese TRIER, cioè scegliere. E' un metodo per valutare i pazienti, o meglio, classificarli in categorie di priorità. Le classi di priorità di più note si riferiscono a dei codici colore; ad ogni codice colore corrisponde un diverso grado di priorità di trattamento. Il TRIAGE prevede 4 momenti differenti:Raccolta delle informazioniRilevamento parametri ABC Valutazione globale del paziente Evacuazione dei feriti
7.1. PROTOCOLLO S.T.A.R.T.
Simple Triage and Rapid Treatment è un sistema creato dai Vigili del Fuoco di Newport Beach, in California, in collaborazione con il sistema sanitario del posto.La valutazione del paziente consiste in una serie di domande la cui risposta, dà origine alla classificazione di priorità sopra citata: Il paziente può camminare? SI Codice VERDE. Pazienti indirizzati verso un punto di raccolta. Non sottovalutare il fatto che i soggetti necessitano di un sostegno psicologico. NO Non si assegna nessun codice, ma si passa ad una successiva valutazione Frequenza respiratoria? Frequenza respiratoria assente: Si effettuano manovre di disostruzione delle vie aeree. Se dopo tali manovre non ricompare l'attività respiratoria, si associa al paziente il codice colore BLU. Se l'attività respiratoria riprende si classifica il paziente con il codice ROSSO e si passa alla fase successiva. Si valuta il numero di atti respiratori al minuto. Normalmente si moltiplica per quattro il numero di atti respiratori compiuti in 15 secondi. Se la frequenza respiratoria è > 30 atti al minuto il paziente viene classificato come codice colore ROSSO e si passa al paziente successivo. Se la frequenza respiratoria è uguale o <>
7.2. PROTOCOLLO C.E.S.I.R.A.
Il protocollo C.E.S.I.R.A. è di impostazione simile, ma si rivolge particolarmente a squadre di soccorso che non hanno conoscenze mediche e quindi non hanno la possibilità di constatare direttamente il decesso sul campo. C.E.S.I.R.A è l'acronimo di: COSCIENZA - EMORAGGIA - SHOCK - INSUFFICIENZA RESPIRATORIA - ROTTURE - ALTRO
Anche in questo caso la valutazione si effettua ponendosi delle domande:
Il paziente cammina? SI -----------------> VERDE

NO

Il paziente è cosciente? NO -----------------> ROSSO
Ha una emorragia esterna? SI -----------------> ROSSO
E' in stato di Shock? SI -----------------> ROSSO
Ha un'insufficienza respiratoria? SI -----------------> ROSSO
Presenta rotture ossee? SI -----------------> GIALLO
Altre patologie o problemi? SI -----------------> GIALLO
Al soccorritore che opera in situazioni di emergenza è richiesto il controllo del luogo dell'intervento al fine di proteggere se stessi e le vittime; conoscere i pericoli che potrebbero derivare da uno scenario incidentale, affrontandoli nel limite delle proprie competenze;collaborare con le altre figure professionali del soccorso. Da non sottovalutare alcune caratteristiche personali che il soccorritore dovrebbe possedere, tra cui stabilità emotiva, spirito di iniziativa per eseguire le procedure necessarie, nel rispetto del ruolo investito, coordinamento delle varie fasi del soccorso, capacità organizzativa e di collaborazione con le altre figure professionali, versatilità e capacità di adattamento alle situazioni imprevedibili.
L’eruzione massima attesa dal Vesuvio in caso di riattivazione è rappresentata da una eruzione sub-pliniana di tipo 1631. Le ricerche più recenti confermano la validità di questa scelta. In considerazione di questo fatto risulta chiaro come il circostanziato esame dei fenomeni avvenuti nel corso di questa eruzione rappresenti una preziosa fonte di informazione per la stesura del piano di emergenza Vesuvio. Le conoscenze sull'eruzione del 1631 sono notevolmente accresciute in questi ultimi anni grazie a nuovi studi basati sulla rilettura critica delle cronache, lo studio dei depositi e la simulazione dei fenomeni più pericolosi. I risultati di questi studi sostanzialmente confermano la validità dello scenario atteso, permettendo altresì di evidenziare in maniera più precisa alcuni aspetti vulcanologici rilevanti per la stesura del piano di protezione civile.
L'eruzione del 1631 costituisce l'evento più violento e distruttivo della storia recente del Vesuvio. L'eruzione, verificatasi dopo un periodo di quiescenza di alcuni secoli, causò la devastazione di un'area di circa 500 Km e la morte di oltre 4 mila persone. E' da notare che l'eruzione sub-pliniana del 472,con energia superiore a quella del 1631, si verificò dopo circa 250 anni di riposo.
L'eruzione del 1631, iniziata alle 7 di mattina del 16 dicembre, fu caratterizzata da quattro fasi principali
I) formazione della colonna pliniana (colonna sostenuta carica di ceneri,lapilli e pomici) (dalle 7 alle 18 del 16/12);
II) produzione di violente esplosioni intermittenti (dalle 18 del 16/12 alle10 del 17/12);
III) emissione delle nubi ardenti (tra le 10 e le 11 del 17/12);
IV) emissione delle ceneri freatomagmatiche (a partire dal pomeriggio del 17/12).
L'ultima fase fu accompagnata dalla formazione di colate di fango e da alluvionamenti Secondo alcuni autori durante il giorno 17 si ebbe anche l'effusione di alcune colate laviche verso mare. La fase pliniana fu caratterizzata dalla formazione di una colonna eruttiva a forma di "pino" la cui altezza massima fu di circa 13 Km fra le ore 7 e le ore15 e di 19 Km fra le ore 15 e le ore 18. La ricaduta del materiale solido trasportato dalla colonna si verificò ad est del vulcano, producendo un deposito di lapilli e ceneri in un'area stretta ed allungata a causa della presenza di un vento molto forte (circa 100 Km/h). Lo strato di lapilli presenta spessori massimi di una cinquantina di centimetri nella piana ad est del vulcano (area di San Giuseppe Vesuviano). Numerosi dati di cronaca confermano che grossi spessori di prodotti si accumularono preferenzialmente lungo una ristretta fascia a direzione est, anche fino a grandi distanze dal Vesuvio. Accumuli di materiale sufficienti a causare lo sfondamento dei tetti sono infatti testimoniati fino nel paese di Forino (400 case subirono questo danno), situato ad una trentina di chilometri di distanza dal vulcano.La fese eruttiva avvenuta nella notte fra il 16 e il 17 fu caratterizzata da una serie di esplosioni discrete che causarono soprattutto un notevole panico tra la popolazione. Queste esplosioni furono in grado di lanciare blocchi in un raggio di 2-3 Km dal cratere, causando solo una debole ricaduta di ceneri e sabbie nella piana ad est del Vesuvio. Il volume di materiali emessi in questa fase fu modesto e gli effetti sulle zone abitate furono trascurabili.Le nubi ardenti emesse durante la mattina del 17 si riversarono sui fianchi del Vesuvio devastando numerosi villaggi ai piedi del vulcano. I centri abitati di Bosco, Torre Annunziata, Torre del Greco, Granatello e Cercola, praticamente intoccati dalla ricaduta di lapilli durante la fase pliniana, vennero rasi al suolo nel giro di 2 ore dal passaggio delle colate piroclastiche. Alcuni dei rami più consistenti delle colate piroclastiche raggiunsero il mare e vi entrarono per un certo tratto, portando alla formazione di almeno 3 penisole nei pressi di Torre Annunziata, Torre del Greco e Granatello. L'emissione delle nubi ardenti del 1631 si verificò in concomitanza con lo sprofondamento della parte sommitale del cono vesuviano e la formazione di una depressione sommitale (caldera) di circa 1,5 Km di diametro. Le nubi ardenti furono emesse da un'attività di semplice trabocco dal cratere (boiling over) e furono fortemente condizionate nel loro scorrimento dalla gravita e dalla morfologia. A causa di questa particolare dinamica la parete del Monte Somma costituì una barriera insormontabile ed una efficace difesa per i centri abitati di Ottaviano, Somma Vesuviana e Sant'Anastasia.Contemporaneamente all'eruzione delle nubi ardenti il livello del mare si abbassò di alcuni metri in quasi tutto il golfo di Napoli per una decina di minuti. Tate abbassamento fu seguito da un rapido rientro e dalla formazione di un'onda alta da 2 a 5 metri (maremoto).L'eruzione delle ceneri freatomagmatiche si verificò principalmente nel pomeriggio del giorno 17 e con intensità decrescente anche nei giorni successivi. La fase di emissione delle ceneri fu accompagnata dalla ricaduta di ceneri umide. Colate fangose di grosse proporzioni si riversarono lungo le valli del vulcano colmando gli alvei dei “lagni” e causando inattesi e micidiali fenomeni di esondazione. La formazione delle colate di fango fu favorita dalla sostanziale impermeabilizzazione del substrato operata dalle ceneri fini, che impedì il regolare assorbimento delle acque piovane. L’eccesso di acqua superficiale causò anche estesi alluvionamenti nella piana campana, nel triangolo approssimativamente compreso fra Acerra, Nola e Cicciano. La maggioranza delle persone (oltre 4 mila) perirono per effetto delle nubi ardenti la mattina del 17. Il bilancio delle vittime sarebbe stato ben più grave se i centri della costa, su cui le nubi ardenti si abbatterono, non fossero stati pressoché totalmente evacuati spontaneamente la notte prima, a seguito del terrore generato dalla ricaduta delle ceneri e pomici nella fase pliniana. Diversi morirono annegati o travolti dalle colate di fango nel pomeriggio del 17. Il collasso dei tetti e la ricaduta di blocchi sembra aver causato un numero modesto di vittime. I danni causati dall'eruzione furono ingenti. Le cittadine di Torre del Greco, Torre Annunziata e Boscoreale furono rase al suolo. Largamente distrutte risultarono le città di Ottaviano e Massa di Somma, mentre fortemente colpite furono San Sebastiano, San Giorgio a Cremano, Resina, Portici, quasi tutta Somma Vesuviana e parte di Trocchia. Tutte le vie di comunicazione furono interrotte. Moltissime abitazioni subirono il collasso del tetto a causa dell'accumulo di materiale piroclastico (lapilli e ceneri). Più di 400 tetti di case collassarono nella sola città di Nola (15 Km a nord est del Vesuvio). La ricaduta sottovento di lapilli e ceneri da una colonna pliniana tipo 1631 può causare il collasso dei tetti in vaste zone poste al di fuori dell'area, concentrica all’edifìcio vulcanico soggetta ad evacuazione preventiva. Le zone eventualmente sottoposte a tale pericolo non sono comunque note a priori essendo esse totalmente condizionate dalla situazione atmosferica presente al momento dell'eruzione ed in particolare dalla direzione e velocità dei venti in quota.Occorre quindi che il piano consideri seriamente questo problema predisponendo interventi da far scattare appena iniziata l’eruzione e conseguentemente non appena determinate le zone interessate. E’ opportuno ricordare che, a parte il problema del collasso dei tetti, le condizioni in queste zone, pur non immediatamente pericolose per la vita umana, saranno molto pesanti (oscurità, atmosfera irrespirabile, intasamento delle fognature, inquinamento delle acque, avvelenamento dei pascoli, difficoltà di circolazione, interruzione di linee elettriche e di comunicazione, possibilità di arresto di motori. Le colate piroclastiche, a causa delle loro caratteristiche intrinseche e della loro velocità, rappresentano di gran lunga il fenomeno più pericoloso per le vite umane. Le colate prodotte nell'eruzione del 1631 si riversarono su tutti i versanti del Vesuvio risparmiando solamente le falde settentrionali del Somma. E' comunque opportuno, ai fini della stesura del piano di protezione civile, non considerare la parete calderica del Monte Somma una barriera insormontabile. Sarebbe infatti sufficiente una posizione della bocca eruttiva spostata più a nord dell'attuale cono vesuviano o la produzione di colate piroclastiche per collasso della colonna eruttiva (anziché per boiling over) come avvenuto nel 472, o semplicemente la più elevata piattaforma intercalderica oggi esistente, a produrre uno scavalcamento di detta barriera ed il conseguente scorrimento di tali colate in direzione anche degli abitanti di Ottaviano, Somma e Sant'Anastasia.E' opportuno ricordare che la modellizzazione di colate piroclastiche con caratteristiche simili a quelle eventualmente producibili per collasso di una colonna pliniana di tipo 1631 ha confermato lo scavalcamento del Monte Somma. La stessa modellizzazione ha inoltre precisato che il tempo di propagazione delle colate tra il cratere e le zone abitate della costa è di soli 10 minuti. Questo dato conferma l'assoluta necessità di una evacuazione preventiva delle aree esposte a pericolo. I limiti della zona interessata , che corrispondono a quelli dell’area di evacuazione preventiva sono da considerarsi tutt’ora validi. L'unico problema che dovrebbe essere considerato è quello dell'estremità orientale del Comune di Napoli (Barra-Ponticelli) che ricade all'interno dell'area pericolosa. L'eruzione del 1631 ha messo in chiara evidenza come le colate di fango e le inondazioni abbiano costituito dei fenomeni collaterali di sorprendente capacità distruttiva anche a distanze poste al di fuori dell'area attualmente considerata per l'evacuazione preventiva. A questo riguardo due sono gli aspetti da tenere in particolare considerazione:
I) è possibile che si verifichino abnormi aumenti di portata dei corsi d'acqua che scendono dall'Appennino. Tali portate, accompagnate dalla mobilizzazione di notevoli carichi solidi, possono portare ad un repentino innalzamento degli alvei, con fenomeni di esondazione e conseguente interruzione delle vie di comunicazione per distruzione di ponti etc.;
II) è possibile che si verifichi l'alluvionamento della piana che si estende fra le città di Nola, Cicciano ed Acerra, a nord est del Vesuvio. Questa zona anticamente occupata dalle paludi causate dall'interramento del fiume Clanio, fu prosciugata nel XVI secolo dal Viceré di Napoli mediante l'escavazione di un sistema di canali (Regi Lagni) che drenano tutt’ora le acque nel Mar Tirreno. Durante l'eruzione del 1631 tuttavia i Regi Lagni non riuscirono a drenare tutta la massa delle acque, con conseguenti alluvionamenti.
8.1. STATO ATTUALE DI ATTIVITA’ DEL VESUVIO
L'attività attuale del Vesuvio è monitorata tramite un complesso sistema di reti sismologiche e geodetiche ed attraverso misure geochimiche, in sito e laboratorio, dei gas. Le reti di sorveglianza hanno l'obiettivo di rilevare con il maggiore anticipo possibile variazioni significative dei parametri fisici in osservazione, probabilmente legate a modificazioni dello stato d'equilibrio del sistema, che possono innescare e/o accompagnare processi di migrazione di masse magmatiche verso la superficie, con probabili conseguenti eruzioni. Dopo l'ultima eruzione del marzo 1944 il Vesuvio permane, attualmente, in uno stato di debole attività fumarolica. Le emissioni gassose presentano temperature non elevate (max 90° C ) e si osservano bassi flussi di anidride carbonica. Vengono eseguiti periodicamente campionamenti dei fluidi delle emanazioni gassose del bordo craterico e dell'interno dello stesso. I fluidi gassosi sono costituiti per la maggior parte di azoto ed ossigeno (aria) e da quantità variabili di anidride carbonica, inoltre sono presenti idrogeno metano ed ossido di carbonio in tracce. L'ultima campagna di misurazione dei flussi di anidride carbonica è stata effettuata nel 1995. Il controllo periodico e continuo della composizione chimica è necessario per determinare, in maniera più dettagliata, il comportamento di “fondo” delle fumarole e per valutare, quindi, di scostamenti dovuti ad eventuali variazioni nell’attività del vulcano. Nel potenziamento di questo sistema sono previste reti di sorveglianza geofisica, geodetiche, clinometriche, mareografica e gravimetrica. La rete sismica, costituita da 9 stazioni analogiche, ubicate a varie altezze sul vulcano e nelle zone circostante. La rete geodetica monitorizza le deformazioni del suolo e si estende dalla città di Napoli fino al massiccio carbonico della penisola sorrentina. La rete clinometrica, monitorizza le variazioni di inclinazioni del suolo. La rete mareografica registra i movimenti verticali del suolo nell’area vesuviana. La rete gravimetrica ha lo scopo di misurare con continuità le variazioni del campo gravimetrico e dei parametri mareali.
8.2. STATEGGIA OPERATIVA DELL’AREA VESUVIANA AD ALTO RISCHIO
L’area Vesuviana ad alto rischio in caso di eruzione del Vesuvio comprende 18 Comuni: S. Giorgio a Cremano, Boscotrecase, Portici, S. Sebastiano al Vesuvio, Pollena Trocchia, Trecase, Terzino, S. Anastasia, Boscoreale, Cercola, S. Giuseppe Vesuviano, Torre del Greco, Torre Annunziata, Ercolano, Ottaviano, Pompei, Massa di Somma, Somma Vesuviana. Lo scenario dell'evento eruttivo massimo atteso ipotizza per la zona rossa una devastazione totale e di conseguenza una forte probabilità di esodo della popolazione senza possibilità di ritorno in breve periodo. Susseguentemente l’allontanamento dovrà effettuarsi per la zona arancione, come ultima zona di possibile allontanamento si considera la zona verde.
ZONA ROSSA NORD COMUNI POPOLAZIONE N.FAMIGLIE
Ercolano 60.509 17.115
Portici 68.593 21.756
S.Giorgio a Cremano 61.405 15.991
S.Sebastiano al Vesuvio 9.956 2.604
Massa di Somma 5.856 1.653
Polleria Trocchia 12.884 3.510
Totale 219.203 62.629
ZONA ROSSA SUD COMUNI POPOLAZIONE N.FAMIGLIE
Torre del Greco 99.852 31.162
Torre Annunziata 51.500 16.059
Boscotrecase 11.754 3.532
Boscoreale 26.287 7.552
Trecase 10.024 3.054
Totale 199.417 61.359
ZONA ARANCIONE
Sant'Anastasia 28.380 7.216
Somma Vesuviana 31.125 8.971
Cercola 17.875 4.991
Totale 77.380 21.178
ZONA VERDE COMUNI POPOLAZIONE N.FAMIGLIE
Terzigno 14.404 4.611
S. Giuseppe Vesuviano 26.590 7.820
Ottaviano 22.742 6.754
Pompei 26.681 8.595
TOTALE COMPLESSIVO POPOLAZIONE 586.417 N. FAMIGLIE 172.946
Le popolazioni residenti nei 18 Comuni dovranno essere allontanate dall'area a rischio a mezzo di treni, navi, bus e auto. L'allontanamento avverrà attraverso "cancelli" presidiati dalle Forze dell'Ordine. I "cancelli", posizionati all'esterno dell'area a rischio, in corrispondenza sia delle direttrici di traffico autostradale che delle stazioni ferroviarie e portuali, hanno il duplice scopo di disciplinare e dirigere il deflusso, e impedire il rientro dei non autorizzati nell'area dei 18 Comuni evacuati. La gestione dei cancelli in questo piano, non è considerata solo una operazione di ordine pubblico ma anche una operazione fondamentale sotto il profilo psicologico per meglio contribuire a ridurre con comportamenti adeguati del personale in servizio i fenomeni di panico della popolazione.Appurato che la possibilità di salvezza degli abitanti dei comuni in zona rossa arancione e verde è nell'allontanamento dalla zona, sono state proposte alcune possibili soluzioni. Tra queste e stata ritenuta più idonea quella dell'allontanamento della popolazione dei 18 comuni verso le regioni esterne, cioè al di fuori della Campania.Una scelta, la più opportuna in quanto il gemellaggio viene considerato, in questo caso, un efficace effetto demoltiplicatore rispetto ai valori critici di destabilizzazione del sistema sociale. La validità di questa scelta è rafforzata dal fatto che in Campania non vi sarebbe comunque possibilità di ospitare 586 417 persone, oltre a quelle probabilmente da accogliere provenienti dalla zona gialla (906.579 abitanti) che sarà interessata dall'evento; associando ciascun comune a ciascuna regione vi è la possibilità di studiare, nei luoghi di ricovero, possibili forme di relazioni che garantiscano il mantenimento di un minimo di unita della identità dei singoli comuni.La indeterminazione dei danni in zona rossa, arancione e verde è relativa all'esatto posizionamento delle zone maggiormente danneggiate, non certo alla entità del danneggiamento atteso che potrà essere, in alcune zone. di distruzione totale. Tale indeterminazione, pertanto si riflette in modo definitivo sui tempi e le modalità di rientro che potrebbero essere molto lunghi per alcune famiglie e quindi non compatibile con un ricovero in strutture precarie. In ogni caso il tempo di allestimento dei campi con strutture precarie non sarebbe compatibile con il tempo utile all’allontanamento delle 586.417 persone. Infine, la scelta di abbinare ciascun comune con ciascuna regione potrebbe essere vantaggiosa anche per mantenere la possibile omogeneità dei plessi scolastici, che potrebbero avere riverberi negativi per un cambiamento immediato. Il numero complessivo di abitanti da allontanare dai 18 comuni delle zone rosse, arancione e verde è di 586.417 unità corrispondenti a 172.946 nuclei familiari. La Comunità Scientifica ha stimato in circa 20 giorni il tempo intercorrente tra una attendibile previsione dell'eruzione e l'eruzione stessa. Intanto da tale termine partirà lo stato di preallarme che si protrarrà per circa 7 giorni,mentre entro i successivi 7giorni dovrà aver luogo l’esodo di tutti i cittadini. Durante la fase di preallarme, in cui la zona sarà progressivamente presieduta dai soccorritori, le famiglie che dispongono di un recapito alternativo presso amici, parenti o altro, ovvero la seconda casa al di fuori delle zone rosse, arancione e verde, faranno bene ad allontanarsi dopo aver comunicato agli organi competenti, l’esatto luogo di destinazione.Si ritiene che un'aliquota compresa tra il 15 ed il 20 % di famiglie sceglierà questa soluzione; quindi complessivamente circa 100.000 persone. Il piano, in assenza di dati scientifici certi riguardanti l’evoluzione del fenomeno è dimensionato e verifica la possibilità di allontanamento della globalità dei cittadini nel tempo utile di 7 giorni. Nonostante le verifiche si è constatata la impossibilità di sgomberare i beni mobili di ognuno, mentre è possibile che ciascuno dei 172.946 capifamiglia si allontani dalla propria abitazione verso la regione di accoglienza utilizzando la propria autovettura su cui potrà caricare parte dei beni personali ritenuti indispensabili. Per consentire ciò, gli altri membri della famiglia, saranno allontanati usufruendo del mezzo pubblico ( bus-nave-treno). La predisposizione del piano di evacuazione della zone rosse, arancione e verde è pertanto relativa allo spostamento, per ciascuna giornata di: 59.067 persone con vettore pubblico; 24.707 capofamiglia con autovettura privata
8.3.SCHEMA OPERATIVO DEL PIANO EMERGENZA VESUVIO
I Fase: Attenzione

L’attuazione di questa fase avviene al momento in cui la Comunità Scientifica, registrerà cambiamenti significativi per frequenza, durata ed intensità dello stato di attività del vulcano, tali da suggerire una più marcata attenzione. Ovviamente siamo in una situazione ove non vi sono la condizioni per la dichiarazione dello stato di emergenza. In questa fase la Commissione Grandi Rischi, venuta a conoscenza dello stato di “attenzione” convoca il Centro di Coordinamento Soccorsi (C.C.S.), dispone un adeguato supporto logistico, incarica i funzionari responsabili della Protezione Civile, provvede ad informare costantemente gli organi istituzionali.
II Fase: Preallarme
In questa fase, con la dichiarazione dello “Stato di Emergenza Nazionale” si convoca il comitato Operativo della Protezione Civile, nomina del Commissario Delegato, attivazione della direzione Operativa di Comando e Controllo, attivazione dei C.C.S., posizionamento dei soccorritori, applicazione del piano per l’impiego coordinato delle forze dell’ordine, allontanamento spontaneo della popolazione, allestimento dei campi di ricovero nella piana del Sele, del Volturno e a Napoli est.
III Fase: Allarme
E’ questa la fase del vero e proprio “allarme” del Sistema Nazionale di Protezione Civile. In questa fase si da il via all’evacuazione vera e propria che vedrà l’allontanamento di tutte le persone che non lo hanno fatto spontaneamente. Durante questa fase i capofamiglia verranno invitati dai rispettivi Centri Operativi Misti ( C.O.M.) ad allontanarsi con il proprio mezzo di locomozione.
IV Fase: Attesa
Questa fase inizia non appena conclusa l’evacuazione. Da questo momento sul territorio nessuno dovrà permanere se non provvisto di speciale autorizzazione. I soccorritori, saranno dotati di mezzi propri e strutture autonome, istallate fuori della zona gialla. Le forze dell’ordine provvederanno a creare una cintura di interdizione lungo i confini della zona evacuata, in postazioni sicure, idonee ad impedire l’accesso ai non autorizzati.
V Fase: Durante l’evento
Durante l’eruzione esiste la possibilità che materiali fuoriusciti dal cono eruttivo vengono trasportati dagli genti atmosferici anche nelle zone gialle. In tale evenienza questa zona sarà oggetto di evacuazione verso le aree di ricovero del Sele, Volturno, di Napoli est e le strutture turistiche nella Regione Campania.
VI Fase: Dopo l’evento
In questa fase la Direzione Operativa di Comando e Controllo, che ha già gestito l’evacuazione dei 18 comuni, provvederà a ricollocare nel territorio colpito dall’evento, ove possibile, tutte le strutture operative precedentemente utilizzate. Una volta ultimate tali operazioni, il Dipartimento della Protezione civile proporrà la revoca dello Stato di Emergenza.
8.4. REALTÀ SANITARIA PRESENTE NEI 18 COMUNI DELL'AREA DI INTERESSE
Per poter effettuare una corretta pianificazione di emergenza, si e' provveduto nell'ambito dei 18 Comuni interessati, a censire tutte le strutture sanitarie attualmente funzionanti. Sulla base dei risultati dell'indagine si è quindi organizzato il piano di evacuazione dei pazienti, che si stima essere presenti nelle diverse strutture sanitarie, e la loro accoglienza in sedi idonee al di fuori delle aree a rischio.
OSPEDALI PUBBLICI
Gli Ospedali pubblici sono trè, dislocati rispettivamente a:
- Polleria Trocchia- Ospedale Apicella ex USL 29 p.l. 141
- Torre del Greco- Ospedale Maresca ex USL 32 p.l. 186
- Torre Annunziata Ospedale civile ex USL 34 p.l. 250
tot. p.l. 577
Ogni ospedale può in media mettere a disposizione, in emergenza, un numero di posti letto pari al 10 % della disponibilità totale; il numero totale di posti letto, di cui la regione Campania può disporre in emergenza, e' di circa 1.557.Nell'arco di 7-10 giorni gli ospedali possono essere evacuati dovendo provvedere al trasferimento, in altre strutture nosocomiali, soltanto di un 10 % dei pazienti mediamente ricoverati. Il trasferimento programmato dei pazienti deve essere effettuato con l’utilizzo dell’autoambulanza, unico mezzo di trasporto secondario, ritenuto più funzionale.Per quanto riguarda l'assistenza alla popolazione, in allontanamento dai 18 Comuni compresi nelle zone rossa, arancio e verde, verrà fornita da :
a) postazioni sanitarie mobili d'emergenza (autoambulanze);
b) Gruppi sanitari mobili CRI e treno ospedale della CRI;
c) Ospedali di riferimento al di fuori dell'area gialla.
a) Le postazioni sanitarie mobili di emergenza , sono costituite da autoambulanze di tipo A e di tipo B dislocate sul territorio in rapporto di 1/ 5000 abitanti. Le autoambulanze di tipo A, definite di soccorso, vengono utilizzate quando sussistono necessità di interventi sanitari complessi ed urgenti.
Il loro personale e" formato da:
1 medico rianimatore;
1 infermiere;
1 autista soccorritore
Le autoambulanze di tipo B, sono definite di trasporto e sono in grado di realizzare un'assistenza semplice.Il personale e' composto da:
1 infermiere
1 autista soccorritore.
b) Tre unità sanitarie campali della CRI verranno installate nella zona gialla, nelle immediate vicinanze delle aree da evacuare, in località idonee sia da un punto di vista logistico che strategico ed in prossimità di una pista di atterraggio per elicotteri. Ad ogni Unità e' stata affidata una specifica area di intervento e assegnati " ospedali di riferimento" al di fuori della zona gialla. Nella stazione di Torre Annunziata stazionerà il treno ospedale della CRI, dotato di 300 p.l. ed in grado di arrivare da Bari, stazione di provenienza, entro 12 ore.
c) Al di fuori dell'area gialla sono stati individuati degli ospedali di riferimento dove potranno essere ricoverati, per i trattamenti definitivi, i pazienti già condizionati nelle strutture sanitarie campali.
Nelle tendopoli o roulottopoli installate nelle piane del Sele e del Volturno per ospitare gli abitanti della zona gialla, l'assistenza sanitaria e sociale verrà assicurata dalla CRI. In particolare, in ogni agglomerato di 10.000 persone, verrà allestito un Centro di Pronto soccorso, dotato di ambulanze di tipo A e B. Queste ultime verranno dislocate sul territorio a conclusione delle operazioni di evacuazione della zona rossa. L'assistenza sociale verrà assicurata attraverso i compiti attribuiti al Segretariato sociale e cioè: censimento delle persone presenti nel campo, ricongiungimento nuclei familiari, assistenza sociale, ecc.Per tali attività sono previste 20 unità di CRI ogni 500 persone.
I-FASE ATTENZIONE:
In questa fase, nell'ambito delle competenze svolte dal Centro Coordinamenti Soccorsi (C.C.S.) riguardante l'organizzazione delle squadre di ricerca e soccorso per il recupero di feriti, è necessario provvedere a mobilitare ambulanze attrezzate per recuperare le persone sepolte da crolli. La Centrale Operativa 118, coordinerà tutte le emergenze di questa fase.Il responsabile di Centrale manterrà stretti contatti con il C.C.S.
II-III- FASE PREALLARME E ALLARME:
Evacuazione programmata strutture sanitarie. Già a partire dal primo giorno della fase di preallarme, i direttori sanitari degli Ospedali e delle Case di cura ed i responsabili delle altre strutture sanitarie attiveranno il loro piano di evacuazione, provvedendo poi, nella fase di allarme, al trasferimento, negli ospedali di accoglienza, di tutti i pazienti per i quali non sono state possibili le dimissioni. I pazienti da trasferire, quantificati in base alle indicazioni fornite dai direttori sanitari, verranno, con autoambulanze, trasferiti negli ospedali di accoglienza, che sono stati selezionati tra le sedi di P.S.A. e di D.E.A. e tenendo conto della loro dislocazione territoriale e del numero di posti letto disponibili in emergenza.
OSPEDALI DA EVACUARE OSPEDALI DI ACCOGLIENZA
Osp. “Apicella” Pollena Trocchia ( 30 Paz. da trasferire) Osp. “Solfora” (n. 132 p.l. )
Osp. “Maresca” Torre del Greco ( 35 paz. da trasferire) Osp. Battipaglia ( 35 p.l. )
Osp. “Civile Torre Annunziata” ( 50 paz. da trasferire) Osp. Eboli (30 p.l. ) Oliveto Citra(20 p.l.)
Tutte le urgenze sanitarie che potranno verifìcarsi tra la popolazione in esodo, nelle aree rossa, arancio e verde, durante la fase di preallarme e di allarme, verranno prese in carico:dalle postazioni sanitarie mobili dislocate sul territorio in un rapporto di 1 autoambulanza ogni 5.000 abitanti. Il personale medico ed infermieristico di ogni autoambulanza dovrà essere in grado di praticare la rianimazione cardiopolmonare di base ed essere addestrato sull'uso del defibrillatore. Dovrà inoltre essere immediatamente riconoscibile e pertanto indossare casacche o pettorali di colore visibile, provvisti di più tasche per consentire di avere a disposizione farmaci salvavita e piccolo strumentario medico. E' di estrema importanza che tutte le autoambulanze siano collegate fra loro con apparecchio radio.Gruppi sanitari mobili della CRI militare, dislocati in numero di tre nelle località di Ponticelli, Pomigliano d'Arco e Palma Campania ed dal treno ospedale della CRI, installato presso la stazione di Torre Annunziata. Tali unita campali effettueranno il triage, il trattamento di patologie acute di piccola e media entità ed il trasferimento assistito dei pazienti negli "ospedali di riferimento" o in ospedali di alta specialità. Ogni C.O.A. avrà quindi assegnate, per le urgenze, autoambulanze di tipo A e B , una unita sanitaria campale della CRI e gli ospedali territoriali di riferimento. La Centrale Operativa del 118, riceve e si fa carico di tutte le chiamate di soccorso che provengono dal territorio. La risposta alle chiamate, secondo la valutazione degli operatori, verrà fornita o con l’invio di un’autoambulanza idonea, o con l’invio del paziente direttamente all’unità sanitaria campale della C.R.I. II parametro di base adottato per definirne il numero e' stato quello di far riferimento ad un rapporto ambulanze/abitanti di 1 a 5.000.
Le autoambulanze richieste, in numero di 116, verranno fornite da:
- CRI: 23 di tipo A con personale
50 " " B "
6 fuoristrada per ogni gruppo sanitario medico.
Le rimanenti potranno essere richieste a:
-CONFED.NAZ.MISERICORDIE : 42
-ASSOC.NAZ.PUBBLICHE ASSISTENZE : 12
- POLIZIA DI STATO : 7
- SOVRANO ORDINE DI MALTA 1
Le strutture campali della CRI sono state individuate tenendo conto della possibilità di atterraggi di elicotteri.Gli Elicotteri sanitari, con il personale, verranno forniti dalla Polizia di Stato :
n 2 eliambulanze - a 109.- per il trasporto di 1 barellato
n. 1 eliambulanza -AB 212 - per il trasporto di n.5 barellati
Nelle zone di evacuazione, è facilmente ipotizzabile che, nella fase di preallarme si vengano a verificare reazioni emotive abnormi dovute alla necessità di abbandonare la propria abitazione, il proprio lavoro, i punti di riferimento familiari, istituzionali, geografici, ecc.In considerazione del fatto che il panico, una volta scatenato, e molto diffìcile da dominare e che molte fenomenologie patologiche come l'ansia,la depressione e gli stati di eccitamento possono propagarsi per imitazione e suggestione se i primi soggetti colpiti non vengono soccorsi al più presto, è necessario predisporre sul modello di quello medico-chirurgico anche l'intervento psicologico- psichiatrico. Dovranno quindi essere costituiti Centri mobili di psicologia dell’emergenza composti da:
un medico psichiatra;
uno psicologo;
due assistenti sociali;
tre infermieri professionali.
Il personale che li compone dovrà essere reperito tra il personale volontaristico, di provata esperienza che, mediante esercitazioni programmate, trovi un affiatamento graduale. Il 118 nasce in Italia agli inizi degli anni 90 e trova piena applicazione a nord del paese, in regione Campania, nasce solo nell’estate del 2000 e prende il nome di S.I.R.E.S. Il 118 in Campania è frutto di profonde trasformazioni della sanità di questi ultimi anni, rappresenta l’integrazione operativa tra territorio e ospedale, che vede il soccorso sul territorio come un intervento che inizia con la segnalazione dell’evento alla centrale operativa, continua sul territorio per concludersi in quella sede o, ove necessario, con il ricovero in ambiente ospedaliero. Gli ospedali devono comunicare in modo più efficiente ed efficace con le centrali operative del 118 che diventano, di fatto, il riferimento di un grande ospedale virtuale, che seleziona non solo il percorso del paziente, ma indica anche gli interventi da attuare nella fase preospedaliera.
Gli obiettivi principali del 118 sono:
· assicurare il soccorso;
· ridurre la mortalità e le lesioni permanenti;
· ridurre i tempi di degenza;
· ridurre la spesa sanitaria.
Per raggiungere questi obiettivi, è necessario l’attivazione di protocolli che mirano a coordinare tutte le componenti del sistema tra le quali, fondamentale, il ruolo del personale operativo che, motivato e addestrato, deve affrontare situazioni sempre diverse.
L’intervento del 118 origina dall’ EMERGENCY MEDICAL DISPATCHER, l’operatore di centrale effettua domande secondo protocolli e valuta la gravità dell’accaduto, stabilisce il tipo di soccorso da inviare, fornisce istruzioni ai soccorritori occasionali, assiste l’equipaggio di soccorso. Questa procedura serve a discriminare tra le varie emergenze pur senza voler fare diagnosi, peraltro sempre impossibile al telefono, allo scopo di stabilire, sulla base della gravità della necessità di particolari provvedimenti terapeutici, la priorità di allertamento e l’invio di mezzi di soccorso. (TRIAGE).Il soccorritore occasionale, si trova di fronte ad una situazione nuova ed angosciante; è spaventato, agitato, in preda al panico da rasentare l’isterismo; diffida della reale efficienza del servizio pubblico; chiede una risposta immediata, esauriente e, spesso, comoda. Pertanto, assume un ruolo fondamentale l’informazione e l’educazione della popolazione, spiegare:
- cosè il sistema di emergenza sanitaria territoriale 118;
- quando chiamare il 118;
- comè organizzato il 118;
- chi risponde al 118;
- quali domande verranno poste dall’operatore del 118;
- l’importanza delle domande poste dall’operatore del 118;
- la validità dei consigli di pre-arrivo, in attesa di soccorso ecc. ecc.
9.1. PROGETTO INFERMIERISTICO PER LA INFORMAZIONE E LA COMUNICAZIONE AGLI UTENTI DEL SOCCORSO SANITARIO 118
Chi lavora in centrale operativa, vive quotidianamente queste difficoltà, e quando venni a conoscenza del concorso bandito dal collegio di Grosseto, subito mi attivai per ideare un piano di informazione /comu- nicazione semplice, attuale e ad ampia diffusione.
IL PASSA PAROLA TELEMATICO.
Alla base dell’intervento operativo del 118 vi è la comunicazione tra personale operante in centrale e gli utenti del soccorso tramite un mezzo di comunicazione: il telefono.Come mezzo di comunicazione il telefono ha assunto un ruolo sempre più importante, sia nel marketing dei beni di consumo, sia nel caso dei beni destinati alla produzione (marketing business to business). Soprattutto in riferimento all’operatività del 118, dove la comunicazione interpersonale assume un valore rilevante, il telefono rappresenta il principale mezzo di comunicazione nella gestione del servizio.Per le sue caratteristiche distintive, il telefono è un mezzo a carattere informativo, utilizzabile in entrata ed uscita:
- in uscita come allertamento, supporto-informazioni ai mezzi di soccorso.
- in entrata come strumento di comunicazione dell’evento (dispatch), consigli medici, ecc.
Gli ultimi anni del secolo appena trascorso sono stati caratterizzati, oltre che dalla diffusione di internet, soprattutto dal boom della telefonia cellulare mobile. Allo stato attuale dei fatti, oltre il 65% della popolazione italiana è in possesso di un telefonino cellulare (studio CNEL Eurisko). Il motivo di questo singolare avvenimento non è semplice da appurare, anche se è possibile rinvenirlo in molteplici fattori, quali la necessità di poter comunicare in qualsiasi contesto e, inevitabilmente, il bisogno di status degli utenti. Ad oggi lo sviluppo di infrastrutture e tecnologie di comunicazione senza fili, ha fatto si che la telefonia mobile divenisse l’applicazione maggiormente usata al mondo e la sua storia può essere inquadrata in un processo che, da un primo sviluppo su tecnologia analogica, arriva alle tecnologie digitali e di integrazioni con le reti. Con l’introduzione del protocollo GSM, si sono avuti una serie di vantaggi tangibili :
1. maggior efficacia spettrale;
2. migliore qualità di segnale trasmesso/ricevuto (i telefonini sono capaci di inviare e ricevere dati fax e-mail e Sms, oltre alla comunicazione vocale);
3. riduzione del costo dei terminali.
Con gli Sms è nato un mercato di massa, chi non li usa è un inguaribile snob, e comunque è tagliato fuori in un modo patetico, è un “uomo delle caverne” circondato dall’isolamento. La chiamano la “Sms generation” la nuova imponente leva hi-tech di giovani dal pollice frenetico ed ipertrofico. Gli Sms ci hanno cambiato la vita (oggi se inviano 50 milioni al giorno) assuefacendoci a un modo di comunicare rapido, sincopato, abbreviato. Un parlar per slogan a costi ridotti. Ma gli Sms non sono più appannaggio esclusivo di chi usa il cellulare come giocattolo. Si affida agli Sms anche il Papa, che così divulgherà la sua parola, le frasi più significative dei suoi discorsi e delle sue omelie. Con gli Sms hai i risultati della partita e l’oroscopo, le ricette, barzellette, hai le cinque notizie più importanti dell’ultima ora, i numeri della smorfia, hai i programmi della TV, quelli del cinema, il meteo, l’orario dei treni, dei voli, la borsa. Guai ad essere obiettori. Guai a non saper mandare Sms. Guai a non imparare a leggerli. Da una ricerca condotta dalla AT Keamey in quattordici paesi risulta che il 39% di chi possiede un cellulare non ha mai inviato un Sms, percentuale che scende al 27% come media in Europa. Alla luce di quanto detto, l’idea del progetto di informazione/comunicazione agli utenti del 118 da me ideato, è basato sul passa parola telematico, ossia lo scambio di informazioni che si verifica all’interno di un ambito di comunicazione mediato da mezzi di comunicazione telematici, instaurando rapporti di comunicazione sincroni con numerosi altri utenti del mezzo. Il passa parola è una forma di comunicazione spontanea, non pianificabile, che si concretizza nella trasmissione di informazione tra due o più soggetti. Il passa parola presenta un livello di credibilità elevato, in quanto, non presenta il carattere persuasivo, ed è personale ed interattivo, sortendo risultati sorprendenti sugli effetti dei messaggi veicolati.In pratica il progetto si realizza attraverso l’invio di Sms da parte dei gestori ad una quota pari al 33,3% degli utenti in modo da poter indurre il meccanismo del passa parola, con contenuti tipo:
In tutte le situazioni in cui e’ in pericolo la vita chiama il 118 – 24 ore su 24: ti risponderà un operatore.
Alla fine del messaggio, si informa l’utente che potrà inviare questo Sms, senza costi aggiuntivi, ad un suo amico. Ad una settimana di distanza si procederà all’invio di un altro tipo di Sms ad un altro 33,3% con contenuto tipo:
In caso di emergenza sanitaria chiama il 118 e rispondi con chiarezza alle domande che ti verranno formulate.
Alla fine del messaggio, si informa l’utente che potrà inviare questo Sms, senza costi aggiuntivi, ad un suo amico. Ed ancora:
Quando ti rivolgi al 118, dalla chiarezza dei dati forniti, dipenderà la tempestività e l’efficienza del soccorso.
Il 118 e’ il numero esclusivo per l’emergenza sanitaria se lo usi impropriamente ritarderai i soccorsi.
In caso di emergenza sanitaria chiama il 118. L’operatore ti chiederà le informazioni necessarie per fornire l’aiuto richiesto.

In caso di emergenza sanitaria chiama il 118 potrai essere l’angelo che ha salvato una vita.
Gli Sms, che secondo le proiezioni degli operatori continueranno a crescere per molti anni, sono solo un assaggio di un mercato ancor più appetitoso come quello degli Mms, i messaggi multimediali con immagini, suoni e testi. Con questo sistema il messaggio sarà ancora più incisivo e secondo le ultime proiezioni di Idc, uno dei più acceditati istituti di ricerca internazionali nel comparto della multimedialità, gli Mms sorpasseranno gli Sms, che nel frattempo avranno continuato a crescere, intorno al 2006. (fonte OVUM) Per quanto riguarda la determinazione del budget, considerato che il costo all’utente per ogni Sms inviato è di 0,12 euro, moltiplicando detto costo per il numero dei terminali impiegati si ottiene il costo totale. Inoltre, tenendo presenti gli elementi in gioco, nella fase di programmazione si può considerare anche l’area geografica a cui intendiamo rivolgerci: l’istituzione del 118, essendo di competenza regionale, non è partita simultaneamente su tutto il territorio nazionale, pertanto in determinate aree geografiche, dove il sistema è attivo da decenni e sicuramente ben radicato il concetto di “118”, il programma potrebbe risultare inefficace. Accertato che è tutt’altro che semplice misurare, dal punto di vista quantitativo, l’efficacia del progetto, è necessario effettuare dei controlli qualitativi misurando la risposta del target agli stimoli ricevuti alla veicolazione del messaggio, per valutare il grado di riconoscimento ed il grado di ricordo del messaggio.Il primo indicatore dell’efficacia del messaggio inviato, è il tasso di Sms veicolati dagli utenti: chi lo veicola, lo fa perché sensibile al contenuto; un messaggio veicolato, dunque, significa lettura e comprensione del messaggio (Sms). Il secondo indicatore dell’efficacia del messaggio lo si valuta sul campo, durante il triage della chiamata di emergenza e dal numero di telefonate improprie. Per concludere è utile dire che i metodi per la valutazione dell’efficacia delle azioni del messaggio telematico sono diversi, quello che deve rimanere inalterato è il rispetto dell’utente e la cura della valutazione dell’impatto della comunicazione,al fine di tendere ad un continuo senso di responsabilità e miglioramento. L'organizzazione dei soccorsi sanitari durante una catastrofe rappresenta uno dei fattori strategici e di prova di ogni sistema di emergenza territoriale. Considerato che gli eventi catastrofici richiedono la partecipazione di più componenti dell'assistenza sanitaria, risulta opportuno che le suddette componenti seguano, nella gestione della catastrofe, dei criteri univoci e universalmente condivisi in quanto efficaci. Esistono però alcune realtà dove il livello di organizzazione sanitaria dei soccorsi già esistente garantisce una certa funzionalità secondo criteri specifici adattati anche al contesto territoriale e alla relativa configurazione degli eventi. L'autonomia organizzativa non deve comunque derogare dai criteri e dai principi enunciati dal Dipartimento della Protezione Civile altrimenti si correrebbe il rischio di creare realtà che non seguendo gli stessi indirizzi non possono cooperare in maniera costruttiva ed ordinata a livello sovra- regionale.Un piano di emergenza è l’insieme delle procedure operative di intervento da attuarsi nel caso in cui si verifichi l’evento atteso, contemplato in un apposito scenario. Il piano d’emergenza, che deve recepire il programma di previsione e prevenzione, è lo strumento che consente alle autorità competenti di predisporre e coordinare gli interventi di soccorso a tutela della popolazione e dei beni in un’area a rischio, e di garantire con ogni mezzo il mantenimento del livello di vita “civile” messo in crisi da una situazione che comporta necessariamente gravi disagi fisici e psicologici. Il piano è una struttura dinamica, poiché variano le situazioni territoriali e, anche se la ciclicità è un fattore costante per i fenomeni calamitosi, l’entità del danno ed il tipo di soccorsi sono parametri variabili che di volta in volta caratterizzano gli effetti reali dell’evento. È pertanto necessario procedere periodicamente non solo all’aggiornamento dello scenario dell’evento atteso ma anche delle procedure di intervento.Le catastrofi, devastano ampi territori e causano un elevato numero di vittime, il coordinamento degli interventi risulterà estremamente difficile, almeno per molte ore, data la prevedibile difficoltà a stabilire le comunicazioni con il territorio interessato per mancanza di reti telefoniche attive, di transitabilità di strade, di energia, ecc. È del resto inevitabile ed insito nel concetto stesso di catastrofe, la sproporzione che si viene a determinare tra richiesta e disponibilità di uomini e mezzi da impiegare sul campo. L’articolazione degli interventi presuppone comunque la conoscenza dei concetti fondamentali della medicina delle catastrofi, l’applicazione della "catena dei soccorsi sanitari", l’entrata in funzione dei piani di emergenza.La complessità delle operazioni sul luogo del disastro, la contemporanea necessità di far fronte ad emergenze sanitarie nel territorio, fanno sì che sia necessario che lo scenario della catastrofe venga gestito come un insieme particolare che richiede preparazione e risorse dedicate sia pure costantemente interfacciate con il restante contesto generale. È importante sottolineare che deve essere mantenuta una distinzione tra le competenze della Centrale operativa 118 e la gestione della catena dei soccorsi. Quest’ultima costituisce un vero e proprio sottosistema che deve avere pochi, ma distinti, elementi di autonomia, pur rapportandosi al contesto più generale rappresentato dal coordinamento di tutte le restanti risorse territoriali, effettuato dalla Centrale 118 e dall'insieme delle risorse ospedaliere disponibili per il trattamento definitivo dei feriti (Dipartimenti di Emergenza).La catena dei soccorsi sanitari rappresenta quindi la fase operativa del sistema dei soccorsi. Essa é composta da squadre sanitarie che dai settori di competenza, indicati sulla base di criteri topografici o funzionali per consentire un’ottimale distribuzione delle risorse a disposizione. L’esperienza internazionale ha ampiamente documentato che contemporaneamente, o anticipatamente ai soccorsi sanitari è opportuno l’intervento di cospicui supporti tecnici per "urbanizzare" d’urgenza le aree colpite; la maggior parte dei sopravvissuti, in particolare in caso di catastrofi naturali, si salva in quanto di per sé illesa o perché salvata immediatamente dopo l’evento da "soccorritori occasionali". È pertanto indispensabile che soprattutto nelle zone ad alto rischio si provveda ad una formazione diffusa e corretta sulle misure di primo soccorso sanitario. È prevedibile che i sistemi di tele – radio - comunicazione ordinari possano risultare compromessi e quindi potrà essere necessario avvalersi di reti estemporanee gestite dai Servizi Emergenza Radio (S.E.R.) dei radioamatori e dei C.B. che garantiscano le comunicazioni essenziali (centri operativi, ospedali, strutture campali ) su canali differenziati e ad uso possibilmente esclusivo: È auspicabile che non appena possibile la stazione RT Sanitaria di ogni settore si affianchi alle rispettive stazioni RT degli altri nuclei impiegati sul territorio (VV.F. – Esercito - Forze di Polizia, ecc.), per un migliore controllo delle informazioni in distribuzione ai diversi referenti. È indispensabile che le reti radio regionali del sistema 118 siano strutturate in modo tale da consentire comunicazioni anche in condizioni di emergenza, eventualmente mediante l’utilizzo di strutture ripetitrici mobili da attivare in caso di calamità. È altresì auspicabile che le tecnologie utilizzate per dette reti radio rispondano a standard commerciali aperti, al fine di consentire la massima possibilità di collegamento anche con enti sanitari che non operano all’interno del sistema 118. La criticità del ruolo svolto da un ospedale a seguito di un evento calamitoso e la frequenza con cui il medesimo evento lo trasforma in soggetto danneggiato, presuppone, uno studio sulla pianificazione degli interventi intraospedalieri nelle maxi-emergenze. Nel definire i compiti dell’Unità di crisi, vi sono una serie di attività che devono essere preventivamente attuate dall’ospedale per dare una pronta risposta sia nell’ipotesi di accettazione di un elevato numero di pazienti sia nell’ipotesi di dover parzialmente o totalmente procedere all’evacuazione della struttura, tra l’altro l’attivazione all’interno di ogni ospedale di specifici programmi di valutazione dei rischi e l’attuazione di idonee misure di prevenzione e controllo, nonché di formazione ed informazione sui possibili rischi per il personale e gli utenti. Non è purtroppo un’evenienza rara che un ospedale si trovi, a seguito di una maxi-emergenza, a dover improvvisamente soccorrere un gran numero di feriti, con conseguente inadeguatezza di servizi calibrati per lo svolgimento del normale carico di lavoro delle urgenze.Altrettanto frequente è la possibilità che la struttura ospedaliera subisca dei danneggiamenti a causa di eventi naturali e non (terremoti, incendi, ecc.) e che questo comporti ancora una volta la diminuzione della sua operatività, fino ad arrivare a casi estremi di evacuazione parziale o totale dei degenti.Essendo l’ospedale l’ultimo anello della catena dei soccorsi sanitari, è necessario che la pianificazione ospedaliera dell’emergenza sia inserita nella cornice più ampia, al fine di consentire alla Centrale 118 di attivare in tempi rapidi i presidi ospedalieri idonei, evitando così gravi perdite di tempo e riducendo notevolmente il numero dei trasferimenti secondari dei pazienti.E’ quindi opportuno individuare e designare, sulla base dei Piani di attivazione localmente prodotti, il o i Presidi ospedalieri che risultino più idonei al trattamento intramurale degli infortunati. E’ indispensabile che tutto il personale che lavora nella struttura nosocomiale sia a conoscenza delle procedure e dei compiti assegnati alle singole figure, in modo da essere preparato sulle modalità operative da attivare in fase di allarme. E’ inoltre indispensabile procedere anche all’attuazione di periodiche esercitazioni simulanti una maxiemergenza per poter verificare l’attendibilità dei vari aspetti contenuti nel piano ed i tempi di attivazione. Nella maxiemergenza, solo un intervento tempestivo e qualificato è in grado di ridurre in modo significativo l’incidenza delle morti e delle invalidità permanenti. Le persone, vittime di una maxiemergenza rappresentano, pertanto una delle condizioni più complesse, di fronti alle quali si può trovare un’infermiere di area critica, per cui all’infermiere è chiesta un’adeguata preparazione tecnico-assistenziale e organizzativa.
La chiave del successo nella gestione della maxiemergenza, consiste nell’adeguata preparazione dei soccorritori, dove l’infermiere, adeguatamente formato, gioca un ruolo indispensabile.

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